Le idee di Benedetto XVI

di Giovanni Vassallo, 25 febbraio 2013

Nell’attesa del prossimo Conclave si leggono molti resoconti su quali siano i problemi e le sfide della Chiesa. Benedetto XVI nei suoi otto anni di pontificato ha indicato quali siano i temi fondamentali della Chiesa di oggi. Partendo da un articolo pubblicato da Aceprensa ripercorriamo alcuni discorsi particolarmente importanti in cui ha formulato idee madri di cui ancora oggi si parla.

L’essenziale: la ricerca di Dio

Uno dei discorsi che più hanno espresso la prospettiva fondamentale di Benedetto XVI è quello pronunciato a Parigi il 12 settembre 2008 nell’incontro con i rappresentanti del mondo della cultura. In quell’occasione il Papa individuava il cuore della cultura occidentale nella ricerca di Dio, il quaerere Deum, che era alla base della vita monastica che ha costruito la cultura europea: “Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.”

Fede e ragione

L’idea della necessità di conciliare fede e ragione è stata una delle più ricorrenti nel magistero di Benedetto XVI, in modo speciale nel discorso all’Università di Ratisbona nel 2006. In quell’occasione augurò un “allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso che facciamo di essa”, per evitare la cecità della ragione davanti ai criteri che le danno senso. “Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza.”. A sua volta, la fede ha bisogno del dialogo con la ragione moderna.

La dittatura del relativismo”

Nella omelia pronunciata, in qualità di Card. Decano, nella Messa di inizio del Conclave, aveva usato già l’espressione “dittatura del relativismo”, poi diventata celebre:
“Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità.” E aveva messo in guardia dall’abolizione della tolleranza “in nome della tolleranza stessa”.
Era tornato sull’argomento nel libro Luce del mondo in cui faceva notare che talvolta in nome della non discriminazione si vuole costringere la Chiesa cattolica a cambiare la propria posizione su temi delicati come per esempio il sacerdozio femminile. In questo modo, aveva notato Benedetto XVI, non si consente alla Chiesa “di vivere la propria identità, ergendo invece una astratta religione negativa a tirannico criterio ultimo, al quale tutti devono piegarsi”.

La ragione ha bisogno della religione

Durante la storica visita al Parlamento britannico nel 2010, Benedetto XVI pronunciò un discorso che costituisce il punto di riferimento per analizzare le relazioni tra religione e politica. A chi fonda il criterio per approvare le leggi solo sul consenso sociale, il Papa ricordava che ci sono alcune regole etiche che sono precendenti e superiori alla vita politica, e che la democrazia si indebolisce quando le ignora:
“Senza il correttivo fornito dalla religione – avvertiva Benedetto XVI - anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana”. Ma è anche necessario il ruolo correttivo della ragione “di fronte a espressioni deformate di religione, come il settarismo e il fondamentalismo”. Si tratta perciò di “un processo a doppio senso”.

Natura umana e legge naturale

E nel suo discorso al Parlamento tedesco nel settembre del 2011 Benedetto XVI tornava sull’argomento chiedendosi: “Come riconosciamo che cosa è giusto? Come possiamo distinguere tra il bene e il male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente?”. E osservava che “in gran parte della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta”. Per riconoscere ciò che è giusto, il Papa proponeva di tornare ad “ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente”. “L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta se stesso per quello che è, e che non si è creato da sé”.
E, a sottolineare quanto avesse a cuore l’argomento, tornò a parlarne durante il viaggio a Milano nel giugno del 2012 nel discorso rivolto alle autorità. In quella occasione affermava che le leggi di uno stato devono “trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana”, pertanto lo stato deve tutelare la persona in molti aspetti “a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione”, promuovendo la famiglia, fondata sul matrimonio e aperta alla vita, e riconoscendo “il diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro giudicato valido e pertinente”.

Verità e radici cristiane

Nel gennaio 2008 Benedetto XVI fu invitato a inaugurare l’anno accademico dell’Università Sapienza di Roma, visita che fu annullata in seguito a contestazioni di studenti e professori. Il discorso che avrebbe pronunciato fu poi pubblicato, e costituisce un vero manifesto sull’università e sulla ricerca della verità. Il Papa si domandava, infatti, “Che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità.” E alla fine metteva in guardia di fronte a un pericolo oggi sempre più presente: “se la cultura europea vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e – preoccupata della sua laicità – si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.”
Nel settembre 2009 Benedetto XVI visitando la Repubblica Ceca rivolgeva un forte appello all’Europa, destinato a durare nel tempo. Durante il discorso rivolto alle autorità ricordava come le “radici cristiane hanno favorito la crescita di un considerevole spirito di perdono, di riconciliazione e di collaborazione, che ha reso la gente capace di ritrovare la libertà e di inaugurare una nuova era, una nuova sintesi, una rinnovata speranza.” E aggiungeva: “Non è proprio di questo spirito che ha bisogno l’Europa di oggi? L’Europa è più che un continente. Essa è una casa! E la libertà trova il suo significato più profondo proprio nell’essere una patria spirituale.”

Il senso del Concilio Vaticano II

Il modo di comprendere il Concilio Vaticano II è stato uno dei temi cruciali della Chiesa di Benedetto XVI. Il Papa ha voluto chiarire la “giusta interpretazione del Concilio” in un importante discorso rivolto alla Curia nel suo primo anno di pontificato, nel dicembre 2005.
In quella occasione, rispondendo a chi voleva seguire un presunto “spirito del Concilio” senza accettare i testi prodotti dopo i lavori conciliari, riprendeva le parole pronunciate da Giovanni XXIII all’inizio del Concilio: “E’ necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere rispettata fedelmente, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo”. Per Benedetto XVI, il Concilio ha cercato questa “sintesi di fedeltà e di dinamismo”, specialmente in tre ambiti: definire in modo nuovo la relazione tra fede e scienza moderna, tra la Chiesa e lo Stato moderno; tra la fede cristiana e le religioni del mondo. E l’importanza del tema lo ha portato a fare un’ampia sintesi del Concilio Vaticano II nell’ultimo incontro con il clero di Roma, lo scorso 14 febbraio. In un lungo discorso a braccio, il Papa ha affrontato il tema della distanza tra il Concilio mediatico e il Concilio reale, concludendo così: “il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa.”

La Nuova evangelizzazione

Di fronte alle difficoltà che la fede incontra in una società secolarizzata, Benedetto XVI ha lanciato una proposta audace di nuova evangelizzazione, per la quale ha creato un Dicastero speciale in Vaticano e ha convocato un Anno della Fede. “Il termine ‘nuova evangelizzazione’ richiama l’esigenza di una rinnovata modalità di annuncio, soprattutto per coloro che vivono in un contesto, come quello attuale, in cui gli sviluppi della secolarizzazione hanno lasciato pesanti tracce anche in Paesi di tradizione cristiana”.
“Anche in chi resta legato alle radici cristiane, ma vive il difficile rapporto con la modernità, è importante far comprendere che l’essere cristiano non è una specie di abito da vestire in privato o in particolari occasioni, ma è qualcosa di vivo e totalizzante, capace di assumere tutto ciò che di buono vi è nella modernità”.
In “Porta fidei”, il documento con cui ha convocato l’Anno della Fede, Benedetto XVI richiamava “una nuova evangelizzazione per riscoprire l’allegria di credere e tornare a trovare l’entusiasmo di comunicare la fede”.