La scienza può condurre a Dio

di Roberto Persico, Tempi num.28 del 12 luglio 2007
Un'altra vittima di C. S. Lewis. Eppure c'erano tutte le premesse perché Francis Sellers Collins finisse come uno dei tanti pazienti ideali di Berlicche, quelli che arrivano quietamente all'inferno senza mai porsi neppure il problema. «Come figlio di liberi pensatori - scrive ne Il linguaggio di Dio, da poco uscito in Italia - ho avuto un'educazione tipicamente moderna per quanto riguarda l'atteggiamento nei confronti della fede: semplicemente, non era considerata una cosa importante». E quel «desiderio di qualcosa che stava al di fuori di me, spesso associato alla bellezza della natura o a un'esperienza musicale particolarmente profonda», che racconta di avere talvolta sperimentato nell'adolescenza, non trovò nessuno pronto ad accoglierlo.
Anzi, approdato nelle aule universitarie, l'anticristianesimo militante che vi si era diffuso spinse il professor Collins da un agnosticismo in fondo indifferente al problema religioso a un deciso ateismo.

L’incontro con Dio nella sofferenza
Intanto maturava un curriculum di tutto rispetto, passando dalla chimica alla fisica alla biologia, per approdare infine alla medicina. Ma proprio qui Dio era in agguato, tra le corsie in cui Collins faceva il suo tirocinio da medico, nel volto di morenti che trovavano nella fede la forza per affrontare lietamente l'ultima sofferenza. «Se la fede non era altro che la maschera di una tradizione culturale, perché quelle persone non alzavano il pugno a Dio e non chiedevano di smetterla con quelle chiacchiere su una potenza amorevole e benefica?». Di colpo, si rese conto che l'indifferenza non è una posizione degna di un uomo di scienza.

La domanda più importante
«Non mi ritenevo uno scienziato? E uno scienziato tira forse conclusioni senza riflettere sui dati? Poteva esserci una domanda più importante di "Dio esiste"? Questa presa di coscienza fu un'esperienza assolutamente terrificante». E sulle prime tentò di offrire ragioni al proprio ateismo. Poi però incappò in Scusi, qual è il suo Dio? di Lewis. «Mi resi conto che tutti i miei costrutti contro la plausibilità della fede erano degni, al massimo, di uno scolaretto. Lewis pareva conoscere tutte le mie obiezioni, talvolta prima che fossi riuscito a formularle con precisione, e le risolveva invariabilmente nell'arco di una o due pagine».

Spiegare il Dna a Bill Clinton
Dai giorni dell'università, Francis Collins ne ha fatta di strada, fino a diventare direttore del "Progetto Genoma", l'impresa internazionale che ha condotto alla mappatura dell'intero patrimonio genetico dell'uomo. E durante la presentazione ufficiale dei risultati, nel giugno del 2000 alla Casa Bianca, accanto al presidente Bill Clinton, così commentò l'evento: «Pensare che abbiamo potuto dare una prima fugace occhiata al nostro manuale di istruzioni, finora noto soltanto a Dio, mi fa sentire umile. Provo un grande timore reverenziale».

Nessuna contraddizione tra scienza e religione
La sua carriera di studioso è cresciuta di pari passo con la sua fede, e ora con Il linguaggio di Dio ha voluto delineare una posizione che lui chiama "evoluzionismo teologico" - «espressione poco accattivante», riconosce - sostituendola col più sintetico e suggestivo "BioLogos": correttamente intesi, non c'è nessuna contraddizione tra i dati della conoscenza scientifica e la verità dell'esperienza religiosa.
Una posizione lucidamente critica sia nei confronti di chi pretende di fare della scienza un sostegno dell'ateismo, sia rispetto agli integralismi religiosi che negano le evidenze scientifiche in nome di letture letterali della Bibbia. Ma vuole anche superare la teoria del "disegno intelligente", che fa intervenire Dio come "tappabuchi" di un'evoluzione difettosa. Chiuso il libro, abbiamo raggiunto Collins nel suo ufficio al National Human Genome Research Institute, e lui ha trovato il tempo di fare due chiacchiere con Tempi.

Due argomenti che rendono plausibile l’ipotesi Dio
Gli argomenti che porta nel suo libro a sostegno della ragionevolezza dell'ipotesi di Dio sono fondamentalmente due. Uno è il cosiddetto principio antropico, cioè la sorprendente convergenza delle costanti fisiche fondamentali dell'universo verso le condizioni che rendono possibile la vita sulla Terra.
L'altro è l'esistenza della legge morale, dell'altruismo, di valori che l'evoluzione (che pure chiarisce tante altre verità) non basta a spiegare.

Il principio antropico convince dell’esistenza di un Disegno sull’uomo
Al contrario dei sostenitori del principio antropico, gli scienziati che propendono per l'esistenza del "multiverso" teorizzano che il nostro universo non sarebbe che una delle infinite bollicine di una sconfinata schiuma cosmica, bollicine che continuamente si formano e si distruggono.
Così la "sorprendente convergenza" delle costanti del cosmo sarebbe solo una delle infinite possibilità, che prima o poi avrebbe dovuto realizzarsi comunque. «Ma se le costanti che determinano le proprietà della materia e dell'energia nel nostro universo fossero anche solo lievemente differenti - ribatte Collins - non ci sarebbe nessuna possibilità per la vita. Perciò è difficile sfuggire alla conclusione che, come ha scritto Freeman Dyson, "l'universo sembrava sapere che stavamo arrivando noi"».

Ci vuole molta “fede” per sostenere che Dio non c’entra
A proprio sostegno Collins cita anche la recente pubblica professione di fede fatta da Antony Flew, ateo da una vita, che «è stato pesantemente influenzato dalla scoperta del potere teologico del principio antropico. Una tale precisione nella regolazione di queste costanti non può essere liquidata come una "coincidenza". L'ipotesi del multiverso, secondo la quale il nostro non sarebbe che uno tra pressoché infiniti universi paralleli dove queste costanti assumono di volta in volta valori diversi, è a mio parere l'unica alternativa praticabile alla conclusione che tali valori siano stati definiti da un'intelligenza superiore. Molti osserverebbero, tuttavia, che credere nel multiverso richiede almeno tanta fede quanta credere in Dio. Uno come Leonard Susskind può supporre che la questione potrebbe essere definita se si potessero rilevare segnali dagli altri universi, ma al momento sembra altamente improbabile. E anche se accadesse, lascerebbe comunque senza risposta la domanda su come tutti questi universi abbiano avuto origine. Il che sembra riportarci alla necessità di una Causa Prima che stia fuori da tutti questi universi. E così torniamo a Dio».

L’esistenza della legge morale e rigetto della teoria darwiniana
Anche l'idea che la coscienza morale sia un segno di Dio ha trovato diversi critici, i quali suggeriscono che si potrebbe scoprire che i gruppi umani che sviluppano attitudini altruistiche sopravvivrebbero più facilmente di quelli che si scannano l'un l'altro: se così fosse, la teoria di Collins si rivelebbe un altro caso di "Dio tappabuchi". «Nessuno degli argomenti che sviluppo ne Il linguaggio di Dio ha la pretesa di essere una prova. Se l'argomento della legge morale dovesse risultare debole e saltasse fuori che le nostre tendenze altruistiche possono essere spiegate sulla base dell'evoluzione darwiniana, la mia fede non ne sarebbe scossa.
Ma non credo che sia probabile, dato che, primo, l'evoluzione opera sugli individui, non sui gruppi (e Richard Dawkins su questo è d'accordo).
Secondo, l'evoluzione riguarda solo la capacità di un individuo di trasmettere il proprio Dna meglio dei concorrenti.
Terzo, proprio per questo il gesto di una persona che aiuta un'altra a rischio della vita è uno scandalo per l'evoluzione, e dovrebbe essere qualcosa a cui noi umani guarderemmo con scherno, non con ammirazione. Tenga presente anche la conseguenza dell'argomento che la legge morale sarebbe un puro risultato dell'evoluzione: vorrebbe dire che il nostro senso del bene e del male è una pura illusione, uno sporco trucco della selezione naturale, con nessun significato di valore di alcun tipo. È una conclusione che trova riscontro nell'esperienza di ciascuno?»

Per gli scienziati parlare di fede è un tabù
Eppure scienziati come Dawkins, "il rottweiler di Darwin", o Daniel Dennet, autore di Illusioni filosofiche sulla coscienza, scrivono libri per dimostrare che «la fede è uno dei più grandi mali del mondo» o che la coscienza può essere totalmente ridotta alla neurobiologia. Collins nel suo libro li bastona duramente, smontando le loro tesi pezzo per pezzo. Ma sono sempre loro a tener banco agli occhi dell'opinione pubblica. «Circa il 40 per cento degli scienziati crede in un Dio personale - replica Collins - e per quel che ne so la maggior parte di loro aderisce alla prospettiva che ho definito BioLogos per tenere insieme quel che conoscono come scienziati e quel che credono come esseri spirituali.
Ma discutere apertamente la propria fede nell'ambiente scientifico è generalmente tabù. Quelli che lo fanno corrono il rischio di essere considerati dei rammolliti intellettuali, così molti credenti tengono le proprie opinioni per sé. Inoltre, questa riluttanza a mettersi in gioco non è solo degli scienziati: le tensioni in atto fra atei conclamati da una parte e fondamentalisti religiosi dall'altra rende molti riluttanti ad affrontare la questione per timore di essere incasellati in uno dei due schieramenti».

Le forme diverse dello sguardo a Dio, senza sincretismi
Malgrado l'inasprirsi del dibattito fra atei e credenti, però, è possibile tenere insieme l'affermazione della verità e la tolleranza. Scrive Collins: «Ciascuno deve intraprendere una propria ricerca della verità spirituale. Se Dio esiste, sarà lui a offrire aiuto. La tolleranza è una virtù, l'intolleranza un vizio. Mi turba profondamente sentire gli adepti di una tradizione di fede liquidare le esperienze spirituali di altri credenti. Tuttavia, se la fede è una ricerca della verità assoluta, non dobbiamo commettere l'errore di affermare che tutti i punti di vista in conflitto fra loro sono ugualmente veri. Il monoteismo e il politeismo non possono essere entrambi corretti. Personalmente, credo che il cristianesimo abbia un particolare accento di verità. Ma ciascuno, come ho detto, deve condurre la propria ricerca». Una posizione troppo poco promossa oggi, spiega lo scienziato a Tempi: «Purtroppo, la nostra società sembra aver preso l'abitudine di amplificare solo le posizioni estreme. Io credo che moderazione, tolleranza e comprensione siano molto più diffuse di quel che comunemente si ritiene».

Un’alleanza tra scienza e fede
E cosa si potrebbe fare, allora, per dare maggior eco a questa concezione del rapporto tra scienza e fede? «Potremmo cominciare - risponde Collins - chiedendo ai grandi scienziati di spendere un po' di tempo a cercar di capire il punto di vista dei più profondi pensatori religiosi, e allo stesso modo chiedere ai capi delle Chiese di immergersi nelle ultime scoperte scientifiche. Oggi entrambi i gruppi sono fin troppo pronti a fare una caricatura gli uni degli altri piuttosto che a cercare di capirsi seriamente. Bisognerebbe creare delle opportunità per mettere insieme i leader dalla mente aperta in un ambiente che incoraggi l'idea che la scienza e la fede sono forme diverse di conoscenza, ed entrambe possono offrire scorci impressionanti di Dio. E dovremmo lavorare molto di più nelle nostre scuole, per insegnare alle giovani generazioni la verità sulla natura come ce la mostra la scienza e insieme aiutarle ad apprezzare il valore permanente delle verità che derivano dalla fede».