Diaconato femminile: la risposta della commissione di Papa Francesco

di Francesco D'Ugo, 18 luglio 2019

Qual è il ruolo delle donne nella Chiesa per papa Francesco? Se l’ordinazione femminile non è prevista dalla Chiesa allora è possibile un diaconato femminile?

Per rispondere a questa domanda, papa Francesco aveva istituito il 2 agosto 2016 una Commissione di Studio per il diaconato delle donne con il compito preciso di “studiare la questione" del diaconato delle donne, "soprattutto riguardo ai primi tempi della Chiesa", periodo esisteva in alcune forme.

Il documento conclusivo, risultante dalla Commissione di Studio per il diaconato delle donne gli è stato consegnato a nel dicembre 2018. E, nel corso dell’assemblea plenaria dell’Unione internazionale delle superiori generali (UISG)  del 10 maggio 2019, ha parlato, rispondendo alla domanda di una religiosa, dei risultati di tale commissione. 

Secondo papa Francesco siamo ancora lontani dal giungere a una conclusione, ma, sul tema del diaconato femminile, ha voluto comunque fornire una linea guida per i prossimi studi. Il riferimento da mantenere, ha affermato, è quello della Rivelazione:

“Dobbiamo cercare cosa c’era all’inizio della Rivelazione, e se c’era qualcosa, farla crescere e che arrivi… Se non c’era qualcosa, se il Signore non ha voluto il ministero, il ministero sacramentale per le donne non va”

Riportiamo la trascrizione delle sue risposte riguardanti la questione del diaconato femminile:


“Poi, il diaconato femminile. Quando voi mi avete suggerito di fare una commissione – perché l’idea è stata vostra – ho detto di sì, ho fatto la commissione, la commissione ha lavorato bene, erano tutti in gamba, uomini e donne teologi, e sono arrivati fino a un certo punto, tutti d’accordo.

Poi, ognuno aveva la propria idea, così… io consegno alla Presidente – lo consegno ufficialmente oggi – il risultato del poco a cui sono arrivati tutti d’accordo. Poi, io ho con me la relatio di ognuno, personale, uno che va più avanti, uno che si ferma a un certo punto… E si deve studiare la cosa, perché io non posso fare un decreto sacramentale senza un fondamento teologico, storico. Ma si è lavorato abbastanza. Poco, è vero: il risultato non è un granché. Ma è un passo avanti.

Certo, c’era una forma di diaconato femminile al principio, soprattutto in Siria, in quella zona; l’ho detto [nella conferenza stampa] sull’aereo [nel volo di ritorno dalla Macedonia]: aiutavano nel battesimo, in caso di scioglimento di matrimonio, queste cose … la forma di ordinazione non era una formula sacramentale, era per così dire – questo è quello che mi dice l’informazione, perché io non sono perito in questo – come oggi è la benedizione abbaziale di una abbadessa, una benedizione speciale per il diaconato alle diaconesse.

Si andrà avanti, perché di qui a un po’ io potrei far chiamare i membri della commissione, vedere come sono andati avanti. Consegno ufficialmente la relazione comune; trattengo io – se qualcuna ha interesse, io posso in caso darla – l’opinione personale di ciascuno. Ma hanno fatto un bel lavoro, e grazie di questo”.

[...]

“È vero quello che Lei dice, che la Chiesa non è soltanto il Denzinger, cioè la collezione di passi dogmatici, di cose storiche. Questo è vero. Ma la Chiesa si sviluppa nel cammino nella fedeltà alla Rivelazione. Noi non possiamo cambiare la Rivelazione. È vero che la Rivelazione si sviluppa, la parola è “svilupparsi”. Si sviluppa con il tempo. E noi con il tempo capiamo meglio, meglio, la fede.

Il modo di capire oggi la fede, dopo il Vaticano II, è diverso dal modo di capire la fede prima del Vaticano II, perché?, perché c’è uno sviluppo della coscienza, e Lei ha ragione. E questa non è una novità, perché la natura stessa, la natura stessa della Rivelazione è in movimento continuo per chiarire sé stessa, anche la natura stessa della coscienza morale. Per esempio, oggi io ho detto chiaramente che la pena di morte non è accettabile, è immorale, ma cinquant’anni fa non si diceva così.

È cambiata la Chiesa? No: si è sviluppata la coscienza morale. Uno sviluppo. E questo lo avevano capito i padri. Nel V secolo c’era un padre francese, Vincenzo di Lerins, che aveva coniato una bella espressione. Dice che la coscienza della fede – lo dico in latino poi traduco – va «ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate»: cioè cresce, cresce con gli anni; è in crescita continua, non cambia, cresce, si allarga con il tempo. Si capisce meglio, e con gli anni si sublima…

E se io vedo che questo che penso adesso è in connessione con la Rivelazione, va bene, ma se è una cosa strana, che non è nella Rivelazione, anche nel campo morale, che non è secondo la morale, non va. Per questo, sul caso del diaconato, dobbiamo cercare cosa c’era all’inizio della Rivelazione, e se c’era qualcosa, farla crescere e che arrivi… Se non c’era qualcosa, se il Signore non ha voluto il ministero, il ministero sacramentale per le donne non va.

E per questo andiamo alla storia, al dogma. Poi quello che ha detto la madre mi è piaciuto tanto, perché non è solo questo che lei ha detto, ci sono due cose in più: una cosa in più è il dialogo col mondo in cui viviamo. Un dialogo di esperienze. E questo dialogo con il mondo provoca situazioni nuove, che chiedono risposte nuove, ma queste risposte devono essere in armonia con la Rivelazione. C’è il dialogo, pure lo sviluppo della fede e della morale – come ho spiegato –, ma sempre con il fondamento.

Secondo: l’armonia con la Rivelazione nel dialogo. Non aver paura di dialogare, è importante. E la terza cosa: la testimonianza. E su questo credo che la cosa più importante che la madre ha detto, a cui ha accennato un po’, è la necessità della testimonianza. Pertanto è vero: non servono solo le cose dogmatiche.

Noi con il Denzinger non andiamo da nessuna parte nella vita concreta. Sappiamo com’è la verità, sappiamo com’è il dogma, ma come affrontiamo questo, come lo facciamo crescere, è un’altra cosa. Il Denzinger ci aiuta perché lì c’è tutta la dogmatica, ma noi dobbiamo crescere continuamente.

Io avevo fatto riferimento al vostro abito, di adesso: “Avete cambiato l’abito, avete rovinato la vita consacrata!”. Niente: nel dialogo con il mondo, ogni congregazione ha visto come era meglio esprimere il proprio carisma, esprimersi. E questa che non ha abito, questa che ha un abito un po’ così, questa e quell’altra che hanno un altro abito non sono né peggiori né migliori: ogni congregazione fa il suo discernimento.

E con questo io cado nella parola-chiave: discernere. Abbiamo bisogno di discernere. Non è tutto bianco o nero, neppure grigio. È tutto in cammino, tutto è in cammino, ma camminiamo sulla strada giusta, la strada della Rivelazione. Non possiamo camminare su un’altra strada. Credo che, sebbene io non abbia risposto a tutte le sfumature che c’erano nella domanda della madre, funzionalmente questa è la risposta.

È vero: non ci aiuteranno solo le definizioni dogmatiche, le cose storiche, non solo. Ma non possiamo andare oltre la Rivelazione e l’esplicitazione dogmatica. Capito questo? Siamo cattolici. Se qualcuno vuol fare un’altra Chiesa è libero, ma…”

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