Un’attesa che non è più dolce

di Franco Olearo, 4 marzo 2013

Il 12 febbraio 2013 si è svolto il primo sciopero nazionale dei ginecologi italiani.

Le motivazioni di tale insolita iniziativa sono state sostanzialmente due: i tagli alla sanità e il contenzioso medico-legale arrivato ormai a livelli insostenibili.

Il motivo principale per un contenzioso così elevato deriva dalle cause intentate da genitori che hanno visto nascere un figlio con qualche disfunzione e ritenendo di non  essere stati bene informati, hanno chiesto una forma di “risarcimento danni”, perché diversamente avrebbero abortito.

In questo modo i medici ginecologi sono  costretti a sottoscrivere assicurazioni sempre più onerose, anche perché in tempi recenti è stato introdotto nella giurisprudenza non solo il principio che i genitori e i parenti più prossimi possono venir  indennizzati per il “danno” della  mancata o errata informazione ricevuta sullo stato del nascituro,  ma lo stesso figlio, nato non sano, ha diritto a un suo proprio risarcimento.

Si è venuta a creare una situazione totalmente nuova  che sembra portare avanti il principio del “sarebbe stato meglio non nascere”, in ultima istanza una modalità di selezione eugenetica.

Il primo caso in Europa che ha smosso le coscienze di tante persone è avvenuto in Francia ed è noto come “Affaire Perruche” . Nel 1982, la signora Josette Perruche sospettò di aver contratto la rosolia e avvertì  chiaramente il suo  ginecologo che se il suo sospetto fosse stato  confermato, avrebbe  abortito.  Gli esami risultarono negativi ma il piccolo Nicolas, appena nato, presentò subito  gravi patologie. I genitori di Nicolas fecero causa al medico ottenendo sia un risarcimento come genitori sia uno specifico destinato al figlio perché costretto a vivere una esistenza di sofferenza.

La sentenza scatenò subito le reazioni di molte associazioni di portatori di handicap che si sentivano trattati come persone per le quali sarebbe stato meglio non nascere, una forma quindi di handifobia. Sull’onda delle loro proteste fu presentata al parlamento francese una legge anti-Perruche con la proibizione di chiedere un indennizzo in base al “pregiudizio di essere nato” ma la Corte Europea dei diritti dell’uomo condannò l’iniziativa ribadendo che la persona handicappata ha diritto a una sua propria compensazione.

Un caso simile, ma con molto meno clamore, è stato dibattuto anche in Italia . La  corte di Cassazione  (sezione III, 2 ottobre 2012, n. 16754) relativamente a un caso simile di una madre non informata correttamente sui rischi di salute del nascituro, ribadiva il diritto del bambino a venir risarcito  per il fatto di esser venuto al mondo malato.

Sulla sentenza  si  è sviluppato un ampio dibattito fra specialisti, che ha dato luogo a sottili distinguo (il nascituro  non va considerato  soggetto di diritto ma è solo “oggetto di tutela” : se fosse stato considerato un soggetto con diritti, avrebbe potuto disporre anche di  un proprio  diritto a vivere) e si esclude che si sia voluto esprimere un principio eugenetico  ma solamente legittimare un indennizzo per sostenere  “una condizione esistenziale di potenziale sofferenza”.

Lasciamo ai giuristi queste disquisizioni professionali e vediamo quali sono i reali svolti sociali e psicologici che questa nuova  situazione comporta.

E’ indubbio che l’aver introdotto nella società il principio che un essere umano (una madre) possa richiedere di sopprimere un altro essere umano (il suo nascituro) ha creato un cuneo che si è insinuato dolorosamente  non solo nell’impalcatura legislativa del paese (basti  vedere le incertezze e  i dibattiti che ne sono scaturiti), ma ha alterato profondamente il comune sentire  rimasto invariato per  secoli: ora non ha più molto senso parlare di “dolce attesa” ma sarebbe meglio esprimersi in termini di “drammatica attesa”.

Molti dottori infatti, per non correre rischi, prescrivono frequenti analisi nelle varie tappe della gestazione e, non solo a fronte di certezze ma anche in presenza di un minimo sospetto, denunciano la potenziale gravità della situazione ponendo in un grande stato di tensione la partoriente. Il risultato netto è che finiscono per non nascere molti più bambini di quanto sarebbe giustificabile.

Si tratta di una situazione totalmente nuova che va sostenuta con una preparazione dei genitori che parta da lontano, molto prima che lo diventino realmente, per ritrovare la forza e la serenità necessarie per la loro missione  e la scoperta del significato di tutte le vite, anche di quelle meno fortunate.

Anche il principio di voler scaricare sui dottori la totale responsabilità di un bambino nato non sano (in alcune sentenze si son trovati a pagare le spese mediche fino al diciottesimo anno di età) è totalmente diverso da quello di una assistenza sostenuta dallo stato. In questo caso  si riconosce  che di fronte a una famiglia che deve sostenere delle  difficoltà è l’intera  società, solidale con essa, che si occupa di alleviare il loro impegno; nell’altro caso, punendo il dottore, si sta esprimendo il principio che il sorgere di una nuova vita è il puro  l’effetto  di un “atto produttivo” di cui il dottore è il responsabile e l’essere nati in quello stato è da considerarsi un “difetto” di tale processo.  

Molto significativa è a questo riguardo l’iniziativa di portare a termine  la prima petizione europea (è ora possibile, con la raccolta di almeno un milione d firme,  chiedere alla Commissione Europea un atto giuridico) per i diritti del concepito, che riconosca il concepimento come inizio della vita e, di conseguenza, punto d’inizio per l’applicazione dei diritti umani.

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