
È possibile introdurre nel nostro linguaggio lo schwa, e con questa azione favorire l’inclusione migliorando in questo modo la nostra società? Secondo Yasmina Pani, saggista specializzata in Linguistica storica e Filologia italiana, nonché autrice del volume “SCHWA: una soluzione senza problema”, la risposta è no.
Nel suo libro Yasmina Pani affronta la questione dello schwa considerando due grandi ambiti: quello del genere grammaticale e quello dell’ipotetico posizionamento della lettera nel nostro linguaggio. Il volume è apprezzabile anche dai non specialisti della linguistica e contiene una ricca bibliografia che permette a chi lo desidera di approfondire il tema.
“SCHWA: una soluzione senza problema” è un libro di Yasmina Pani, edito da EDIUNI. Il volume è disponibile in tutti gli store digitali, sia in cartaceo che in ebook. Si tratta di uno dei pochi volumi che trattano il tema con rigore scientifico, per questo motivo lo abbiamo letto e recensito.
Il genere grammaticale e lo schwa
Secondo l’autrice e i numerosi studi portati a supporto della sua tesi, nella linguistica coerentemente applicata il genere grammaticale non coincide con l’identità di genere. Sembrerebbe una premessa controintuitiva per noi italiani, ma nel mondo sono moltissime le lingue in cui questo assunto è evidente. Nel libro se ne citano molte, noi ne riportiamo una su tutte: la lingua nazionale del Senegal ha 17 generi grammaticali, che non corrispondono a 17 identità di genere.
Infatti, come spiega Yasmina Pani all’inizio del volume:
La letteratura scientifica è concorde nell’affermare che il genere grammaticale ha primariamente a che fare con l’accordo,
ovvero lo strumento linguistico attraverso il quale rendiamo evidente quali parole sono riferite ad altre. Per esempio, diciamo “il cane rabbioso abbaia”, e non “i cani rabbioso abbaiano”. Attraverso un’analisi della genesi delle lingue indoeuropee e del loro sviluppo fino a come le conosciamo oggi, l’autrice mostra come l’assegnazione del genere ad una classe di parole è arbitraria, e che i concetti “maschile” e “femminile” non sono intrinsechi alle parole con cui vengono espressi: non c’è una ragione stringente o logica per cui generalmente in italiano i nomi che finiscono in -a sono femminili, e quelli in -o maschili. Inoltre,
molte parole sfuggono alla classificazione su base semantica: interpretare il genere grammaticale come lo specchio della mente dei parlanti è molto riduttivo.
Solitamente, riporta l’autrice, il mutamento che porta un genere a comparire o scomparire è molto lento e progressivo, ed è dovuto a un percorso intrapreso dalla lingua per molte cause (interne o esterne), e non a una decisione presa a tavolino da alcune persone.
Soprattutto, e questo è un altro tema ricorrente del volume, non c’è una correlazione dimostrata tra utilizzo o diffusione di un genere e la considerazione sociale dei referenti del genere in questione. Per esempio, in molte lingue dei paesi scandinavi il genere grammaticale femminile è assente, ma questo non significa che lì la donna goda di una considerazione sociale minore. Dall’altra parte, nella lingua del popolo Masai si usa il femminile marcato, ma la donna è oggetto di compravendita da parte degli uomini. Per il caso del neutro, che è il genere grammaticale che potrebbe essere associato all’utilizzo dello schwa, l’autrice indica due casi emblematici: in Cina e in Iran si parlano delle lingue che non hanno generi grammaticali, ma non sono certo dei paesi virtuosi per quanto riguarda la considerazione della donna o di chi non si identifica nel genere femminile.
Il maschile non marcato e lo schwa
Una delle finalità dello schwa sarebbe quella di sostituire il maschile non marcato, ovvero l’utilizzo del maschile per indicare dei gruppi di persone, cose, animali che sono sia maschili che femminili, o che non sono identificate chiaramente. Ma il maschile non marcato, secondo l’autrice, “è una convezione grammaticale e come tale è sempre stata vissuta”, senza avere connotazioni ideologiche sessiste. L’esempio di come vengono generalmente riportate alcune notizie negative evidenzia questo aspetto convenzionale: “L’assassino è a piede libero” oppure “I ladri hanno svaligiato la banca”, sono frasi in cui viene usato il maschile non marcato singolare e plurale, ma non hanno un collegamento diretto con il genere identitario di chi compie l’azione. Anche la presenza del genere neutro nelle lingue indoeuropee, e il fatto che alcuni termini siano passati da neutri a femminili o maschili in lingue diverse, evidenziano che il genere grammaticale non ha un collegamento evidente e trasparente con la realtà.
I problemi dello schwa in sé
Dopo aver spiegato qual è il contesto del genere grammaticale, e di come questo non sia collegato direttamente e chiaramente al genere sessuale, Yasmina Pani affronta la proposta dello schwa da un punto di vista più tecnico (fonetico e morfologico), ipotizzando la sua introduzione nell’alfabeto italiano.
Il primo problema sotto questo aspetto è proprio che lo schwa non è un fonema italiano, cioè non è un suono che riconosciamo come capace di cambiare significato di una parola se sostituito con un altro (come accade con patto - ratto - parto). In quanto parlanti nativi italiani, quando sentiamo pronunciare ə (schwa) il nostro cervello lo interpreta come un fonema già esistente (una specie di a), e non come uno nuovo.
Questo accade perché
In nessun caso a noi noto si è deciso di inserire ex abrupto un nuovo suono, mai comparso prima nella lingua.
Inoltre in un sistema fonetico di rapporti e opposizioni (per esempio tra consonanti sorde e sonore), lo schwa non troverebbe posto.
Un giorno lo schwa ce la farà?
In diversi luoghi del volume l’autrice, senza arrogarsi la capacità di prevedere esattamente come evolverà la lingua italiana, afferma che non si può dire con certezza se lo schwa diventerà parte del nostro linguaggio, perché “il mutamento linguistico non può essere previsto in maniera certa”.
Verso la fine del libro Yasmina Pani si sofferma sull’analisi di uno degli slogan più utilizzati dai propugnatori dello schwa: “la lingua la fanno i parlanti”, utilizzato per spiegare che, se c’è la volontà di cambiare qualcosa nella lingua, allora chi vuole cambiare questa cosa la può ottenere. In realtà, rileva l’autrice, questo slogan porta dentro di sé l'errore di chi vuole introdurre lo schwa: nessuna lingua può essere imposta o modificata per decisione di qualcuno, proprio perché è l’uso che configura la regola, ed è impossibile creare dal nulla una lettera o un genere grammaticale.
“SCHWA: una soluzione senza problema” è un libro di Yasmina Pani, edito da EDIUNI. Il volume è disponibile in tutti gli store digitali, sia in cartaceo che in ebook.
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