Il ruolo economico della famiglia

Osservatorio Nazionale sulla Famiglia, sintesi della ricerca: Il ruolo economico della famiglia nel contesto sociale: alcune evidenze (Gabriella Berloffa)
La famiglia soggetto economico
La famiglia può essere vista innanzitutto come un soggetto economico che si pone in rapporto con i mercati dei beni, dei servizi e dei fattori produttivi (lavoro e capitale): le famiglie domandano beni e   servizi sul mercato e offrono fattori produttivi. L’offerta di fattori produttivi si articola in molteplici   aspetti, alcuni dei quali di tipo quantitativo - l’offerta di lavoro dei coniugi e le decisioni di   fecondità -, altri di tipo qualitativo - lo sviluppo del capitale umano dei figli, la cura della salute,   ecc.  
 
Italia: il minore tasso di fecondità e di occupazione femminile in Europa
L’ambito in cui il ruolo economico della famiglia è stato tradizionalmente più esaminato è quello   dell’offerta dei fattori produttivi, in particolare dell’offerta di lavoro dei coniugi. E’ innanzitutto   utile osservare che i legami famigliari, se da un lato influenzano in modo significativo l’offerta di lavoro dei coniugi, dall’altro svolgono un ruolo importante anche nel determinare le decisioni di fecondità e quindi l’offerta di lavoro futura.   L’Italia si trova purtroppo in una posizione particolarmente critica: è il paese europeo con il minore   tasso di fecondità e il minore tasso di occupazione femminile (tabb. 5.1 e 5.2 ) e le tendenze non   sono molto incoraggianti: la partecipazione femminile sta aumentando ma ad un ritmo molto   inferiore rispetto a quello di paesi come Spagna e Irlanda che all’inizio degli anni ’90 avevano tassi   di partecipazione inferiori al nostro; il tasso di fecondità totale del momento continua a rimanere   molto basso, anche se ha mostrato una debole ripresa in questi ultimi anni.
 
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Problemi per il sistema pensionistico e la crescita economica
Questi dati sono preoccupanti non solo per i problemi di sostenibilità del sistema pensionistico e  fiscale in genere, ma anche per le stesse prospettive di crescita del sistema economico. Il problema è   così profondo che la focalizzazione sul solo obiettivo di aumentare la partecipazione femminile è non solo insufficiente ma può essere anche dannosa. Pertanto, la sfida per i paesi del sud Europa (in   particolare Spagna, Italia e Grecia) è non solo quella di far sì che le donne si spostino verso il   mercato del lavoro, ma anche che aumenti contemporaneamente il tasso di fecondità.

Le donne che vorrebbero lavorare
La tab. 5.3 riporta alcune informazioni di tipo quantitativo tratte da una indagine campionaria   condotta nel 1998 da Eurofound (European Foundation for the Improvement of Living and Working   Conditions). Dalla tabella emerge chiaramente che per le coppie con figli al di sotto dei sei anni le   preferenze per la partecipazione al mercato del lavoro delle donne sono più alte dei tassi effettivi.   Ad es., se si guarda alla media europea, il modello di occupazione per cui entrambi i coniugi lavorano full-time è scelto effettivamente dal 34% delle famiglie, mentre sarebbe quello “desiderato” dal 48%. In altre parole esiste un’alta percentuale di donne con figli piccoli (che fanno   parte di una coppia) che vorrebbe lavorare sia full-time che part-time ma non lo fa (per l’Italia   questa percentuale è intorno al 33%).  
 
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Le difficoltà lavorative per le donne e il desiderio di avere più figli
Per quanto riguarda l’Italia, ulteriori informazioni di tipo quantitativo su questi gruppi sono   rilevabili da una recente indagine condotta dall’Istat nel 2002 su un campione di 50.000 madri   (donne che hanno avuto almeno un figlio e che vengono intervistate in un momento che cade tra   uno e due anni dalla nascita del figlio), il 49% delle quali risultava inattivo al momento   dell’intervista [Istat-Cnel 2003]. Solo il 15% del sottocampione delle donne che non lavorano (e   hanno avuto almeno un figlio) dichiara di non lavorare per problemi di conciliazione tra lavoro e   famiglia, mentre il 36% delle mamme che lavorano lamenta la presenza di aspetti del lavoro –   principalmente rigidità di orario o turnistica - che rendono difficile conciliare famiglia e lavoro.   Per quanto riguarda le preferenze relative alla fecondità, sempre da questa indagine Istat si rileva   che ben il 62% delle donne che lavorano (dopo la nascita del figlio) vorrebbero almeno un altro   figlio.

Differenza tra il numero di figli desiderato ed effettivo
Che esistano effettivamente dei vincoli anche rispetto alle decisioni di fecondità è rilevabile dai dati della Fertility and Family Survey condotta in Italia nel 1995-96, secondo i quali, il 47,7% delle   donne di età compresa tra i 30 e i 36 anni e l’11,8% di quelle tra i 37 e i 43 anni, sperimentano una   differenza significativa tra il numero di figli desiderato ed effettivo; tale differenza è pari in media a   0,84 bambini per il primo gruppo e 0,18 per il secondo [Van Peer 2000]. Diversamente dagli strumenti di conciliazione, gli incentivi di natura finanziaria possono agire in   direzioni diverse sulle due decisioni: da un lato ridurre la partecipazione, dall’altro favorire la   fecondità.

Occorre aumentare occupazione femminile e fecondità
  I risultati di questi studi suggeriscono che, nella ricerca di politiche efficaci per aumentare la   partecipazione femminile e la fecondità, occorre fare attenzione ad alcuni punti critici.
 a) Innanzitutto è necessario considerare le due decisioni simultaneamente e questo può portare a  preferire certi strumenti di politica rispetto ad altri.    
  b) In secondo luogo è necessario tenere in considerazione tutti i tipi di vincoli e quindi tutte le preferenze delle donne, sia quelle relative al lavoro, sia quelle di dedicarsi alla famiglia.    
  c) Infine, è importante considerare queste decisioni in una prospettiva intertemporale.    
In sintesi, il desiderio di formare una famiglia ed avere dei figli ha sicuramente un effetto positivo per quanto riguarda la disponibilità di fattori produttivi nel futuro e questo non richiede necessariamente il sacrificio di una parte di fattori produttivi presenti (le donne) se supportato da strumenti adeguati di conciliazione tra famiglia e lavoro.

I nonni sostituiscono asili nido e baby sitter
I legami famigliari intergenerazionali possono aiutare a superare alcuni dei vincoli descritti sopra   sia attraverso trasferimenti di risorse finanziarie, sia attraverso l’offerta dei servizi di custodia dei   bambini. Dall’indagine Istat sulle neo-mamme emerge l’importanza di questo tipo di aiuti per   l’Italia: il 54% delle mamme che lavorano affidano i bambini ai nonni, contro un 22% che li porta   all’asilo nido e un 11% che li affida alle baby sitter. Il fatto che il ricorso ai nonni sia così   ampiamente diffuso dipende sicuramente dalla necessità di una certa relazione di fiducia con le   persone a cui si affidano i figli, ma dipende anche da motivazioni di tipo strettamente economico: i   nonni forniscono un servizio che è generalmente a titolo gratuito e normalmente più flessibile di   quelli forniti dai servizi pubblici o privati.  La presenza dei nonni dovrebbe dunque incentivare sia la partecipazione al mercato del lavoro che   la fecondità, e questo è confermato per l’Italia da alcune recenti indagini [Del Boca 2002a e b;   Chiuri 2000; Bratti 2003] in cui si evidenzia che la disponibilità del supporto famigliare ha un   effetto positivo sia sull’offerta di lavoro che sulla probabilità di avere un figlio.  Oltre a fornire un servizio di custodia dei figli, i legami famigliari possono fornire supporto anche   attraverso aiuti finanziari e, almeno per l’Italia, questa sembra un’ipotesi non tanto remota.   Accanto a questi aspetti che favoriscono partecipazione e fecondità, tuttavia, la presenza dei nonni   può avere un effetto negativo dovuto alla domanda di assistenza nel caso di genitori o parenti   anziani.    

Le trasformazioni della famiglia e le loro conseguenze
Le trasformazioni che stanno interessando la struttura famigliare in questi ultimi decenni (aumento   delle convivenze, matrimoni meno numerosi e più tardivi, aumento delle separazioni e dei divorzi)   hanno conseguenze rilevanti sulla qualità dei fattori produttivi offerti, in particolare sulla   formazione del capitale umano e sulla salute.

Problemi di rendimento scolastico, produttività e salute   
 Diversi studi hanno mostrato che certe tipologie di relazioni all’interno della famiglia (la presenza o   meno di entrambi i genitori naturali, la convivenza tra figli della coppia e figli di uno solo dei   partner, ecc.) hanno effetti negativi sui figli sia in termini di esiti scolastici, che di esiti lavorativi,   che di problemi comportamentali e di salute, soprattutto di natura psicologica.   

Aumento dei costi sociali
Questi fenomeni hanno conseguenze importanti dal punto di vista economico, non solo per quanto   riguarda i costi privati che ricadono sui figli, ma anche per i costi sociali legati a una minor   accumulazione di capitale umano e agli effetti che questa porta con sé per le prospettive di crescita del sistema.