Recensione: "La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo"

di David Cantagalli, 02 gennaio 2023

Cercare la luce oltre il crepuscolo. Pubblichiamo qualche riflessione a margine del libro di Chantal Delsol, La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo, riprendendo il filone delle recensioni, già avviato qualche anno fa, a libri che riteniamo di possibile interesse per i nostri lettori.

Questa recensione è di David Cantagalli, che ringraziamo. Qui si può leggere un estratto del libro.

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Charles Péguy affermava ormai un secolo fa: «Il mondo è più cambiato in questi ultimi trent’anni di quanto sia cambiato dopo Gesù Cristo. C’era stata l’età antica (biblica). C’è stata l’età cristiana. Ora c’è l’età moderna». Ed ancora, afferma oggi la filosofa Chantal Delsol: «La cristianità intesa come civiltà guidata, ispirata, ordinata dalla Chiesa è durata sedici secoli, dalla battaglia del fiume Frigido (394) fino alla seconda metà del secolo XX, con il successo dei sostenitori dell’interruzione volontaria di gravidanza».

La forza dirompente, a tratti agghiacciante, di ciò che non ti aspetti e accade aldilà di ogni previsione si esprime con chiarezza ed efficacia nel libro di Chantal Delsol, La fine della cristianità e il ritorno del paganesimo. La potenza di quanto sostiene e afferma è ancora maggiore perché a scrivere questo libro è una filosofa cattolica che i più definirebbero “tradizionalista”.

L’autrice, autorevole protagonista del mondo intellettuale francese, afferma senza esitazioni che la cristianità, la civiltà cristiana, in agonia ormai da qualche secolo, vive oggi i suoi ultimi giorni. Un’agonia iniziata con l’illuminismo e, tra alti e bassi, notevolmente peggiorata dopo la seconda metà del secolo XX. A differenza di quanto si può pensare, la cristianità non verrà soppiantata dal nichilismo o dal materialismo estremo, ma dal politeismo, che sconfitto molti secoli fa, si sta riprendendo la sua rivincita: Scriveva Max Weber: «Gli antichi dèi, spogliati del loro incanto […] si levano dalle loro tombe, aspirano a dominare sulla nostra vita e ricominciano l’eterna lotta». Ciò che sostituirà la cristianità sono le morali stoiche, il paganesimo, la spiritualità di tipo asiatico. Il senso religioso non può essere sostituito dal nulla, da un nichilismo che fa terra bruciata; non può essere sradicato dal cuore dell’uomo, ma si rivolgerà altrove verso le forme di un paganesimo primitivo che fu vinto dalla cristianità. Questo processo, secondo la Delsol, è inevitabile, come è accaduto anche per altre civiltà, come quella pagana greca e romana, e si articola attraverso delle tappe ben definite: l’inversione normativa, l’inversione ontologia, la morale di Stato. Per la Delsol, la cristianità si è dissolta e i principi che la costituivano sono stati assorbiti da un nuovo paganesimo che li ha adottati e riciclati: l’ecologismo, lo scientismo, la venerazione del progresso, l’assolutizzazione dei diritti civili non sono altro che l’assunzione dei principi che formavano un tutt’uno nella cristianità atomizzati e adattati ai nuovi assoluti.

Questo processo secondo la Delsol era inevitabile e i tentativi posti in essere dalla Chiesa di frenare l’avanzata del liberalismo e dell’individualismo – come ad esempio la condanna della modernità sancita dal Sillabo di Pio IX o il tentativo del Concilio Vaticano II di parlare di Dio all’uomo contemporaneo – non solo non hanno sortito gli effetti sperati, ma non potevano invertire questo processo avviato dalla Rivoluzione francese. Del resto, come afferma la Delsol, per troppo tempo la Chiesa ha guardato a se stessa, alla sua sopravvivenza, e non al bene e alla tutela dell’individuo che in essa ha creduto e ad essa si è affidato. La Chiesa oggi vive di rimorsi e di sensi di colpa che spingono i suoi rappresentati a recitare continui e a volte imbarazzanti mea culpa.

Il cristianesimo deve la sua fortuna ad una caratteristica peculiare che altre religioni non hanno: il Dio che nessuno ha mai visto (cfr. Gv 1,18) con la nascita di Gesù Cristo si palesa finalmente all’uomo. Il Verbo si fa carne, si rivela come presenza all’uomo che ha sempre avuto il desiderio di conoscerlo, di percepire la sua presenza, di verificare la sua esistenza. La fede nasce da un’esperienza concreta, da un incontro in cui l’esistenza del divino è percepita come presenza ragionevole. Così è accaduto ai dodici apostoli e ancora accade all’uomo contemporaneo. Ma l’uomo contemporaneo può accettare oggi come Verità solo l’intuizione della presenza ragionevole del Verbo che si è fatto carne, non accettando più come Verità, in un mondo ove le presunte verità sono molteplici, tutto ciò che discende dal riconoscere tale verità. Venendo meno la cristianità, cioè quella civiltà ordinata, guidata e ispirata dalla Chiesa, in un percorso a ritroso l’uomo può riconoscere solo quella Verità essenziale e originale. La cristianità è giunta attraverso un percorso tortuoso alla fine dei suoi giorni. Il cristianesimo, la fede in un Dio che si è reso presente e concreto, rimane. Ai cristiani oggi è richiesta una testimonianza chiara ed evidente, come quella degli apostoli e di chi ha conosciuto il Figlio di Dio, attraverso cui sia possibile riconoscere la presenza ragionevole del Dio uno e trino nella storia umana, nella vita quotidiana di ciascuno di loro, nella Creazione. L’adultera non si è convertita riconoscendo e osservando il Decalogo, ma riconoscendo in Cristo quella verità che in parte rimane indecifrabile, ma evidente. La salvezza inizia con il riconoscere che nella nostra vita è accaduto un miracolo: Dio si è fatto carne ed è presente ancora oggi tra gli uomini, le donne, i giovani del XXI secolo. La fede è un valore che dà significato e gusto alla nostra vita e questo valore aggiunto deve essere testimoniato con coerenza e coraggio. Come ha affermato Benedetto XVI: «Per l’annuncio abbiamo bisogno di due elementi: la Parola e la testimonianza […] È una cosa assolutamente indispensabile, fondamentale, dare, con la testimonianza, credibilità a questa Parola, affinché non appaia solo come una bella filosofia, o come una bella utopia, ma piuttosto come realtà. Una realtà con la quale si può vivere, ma non solo: una realtà che fa vivere».

E allora, con le parole del Siracide, «Quando uno ha finito, allora comincia» (18,6). Le riflessioni e le argomentazioni della Delsol, oltre la sterile critica di chi può non condividerle, possono costituire un invito ad una riflessione ancora più profonda sulla crisi che stiamo attraversando e il futuro che ci attende. Il futuro delle generazioni che seguiranno alle quali abbiamo il dovere di trasmettere con forza non solo le certezze che abbiamo conquistato ma anche e soprattutto una fede capace ancora di domandare, di ricercare, di meravigliarsi.