
“La lotta alla mafia ha bisogno di un maggiore coinvolgimento della Chiesa”. Lo ha detto il procuratore nazionale Franco Roberti che ha lanciato una stoccata molto forte alle gerarchie ecclesiastiche: "Sono convinto che la Chiesa potrebbe moltissimo contro le mafie e gran parte delle responsabilità le ha proprio la Chiesa perché per secoli non ha fatto niente". Posto che la mafia è un fenomeno sviluppato negli ultimi 200 anni e riconosciuto come tale, ovvero come organizzazione criminale strutturata con finalità ben precise, dal dopoguerra in poi, il sito UCCR ha fatto un lavoro molto completo di ricostruzione di tutte le azioni della Chiesa per contrastare questa realtà.
L'impegno della Chiesa
Non solo i momenti più eclatanti come la denuncia di Giovanni Paolo II del 1993 o l’omicidio del beato Pino Puglisi o ancora il costante sforzo di oggi di don Luigi Ciotti ma anche il costante lavoro promosso dai vescovi di Palermo e dalla conferenza episcopale siciliana (e italiana) dal 1946 in poi. Eppure, una delle frasi che maggiormente citata quando si parla della presunta ambiguità della Chiesa nei confronti della mafia è quella che viene così riportata: “La mafia non esiste è una invenzione del nord/dei giornali/dei comunisti” (la versione cambia a seconda di chi cita la frase incriminata).
La mafia è una invenzione?
Questa affermazione è stata attribuita al cardinale Ernesto Ruffini, vescovo del capoluogo siciliano dal 1945 al 1967 (a volte viene citata virgolettata ma senza una attribuzione particolare, come se fosse la posizione ufficiale della Chiesa o della chiesa sicialiana negli anni tra il dopoguerra e gli anni ’80). Cercando nei documenti ufficiali e nei giornali dell’epoca non si trova una fonte che riporti esattamente questa frase così come viene comunemente usata. Sicuramente il cardinale, lombardo di nascita, già conosceva la serietà del problema mafioso in Sicilia durante il suo episcopato. Tanto da affermare, in un'intervista rilasciata sulle pagine de La Stampa, intitolata “Colloquio con l'Arcivescovo di Palermo", del 22 maggio 1959:
« Qui abbiamo problemi enormi da risolvere, pensi a cosa è la mafia, alla sua rete di delitti. Già i mezzi per combatterla sono insufficienti e come se non bastasse arriva una nuova amnistia. Faccia il calcolo di quante amnistie sono state concesse dalla fine della guerra, una ogni due anni » |
Da dove nasce allora l’attribuzione a Ruffini di quella frase? Tutto comincia subito dopo la strage di Ciaculli del 1963. Il 5 agosto di quell’anno Angelo Dell’Acqua, sostituto della segreteria di Stato, inviò una lettera al cardinale Ernesto Ruffini, in cui invitava l’arcivescovo a valutare se non fosse “il caso, anche da parte ecclesiastica, di promuovere un’azione positiva e sistematica con i mezzi che le sono propri – d’istruzione, di persuasione, di deplorazione, di riforma morale – per dissociare la mentalità della cosiddetta “mafia” da quella religiosa e per confortare questa a una più coerente osservanza dei principi cristiani, col triplice scopo di elevare il sentimento civile della popolazione siciliana, di pacificare gli animi e di prevenire nuovi attentati alla vita umana”.
La risposta che inviò Ruffini al Vaticano generò l’incomprensione che ancora oggi viene citata. Nella lettera spedita alla segreteria di stato l’arcivescovo di Palermo volle fortemente sottolineare come chi era mafioso era già molto lontano dalla Chiesa e che a volere accomunare elementi di Cosa Nostra e modi di fare mafiosi al mondo cattolico erano forze che si muovevano per interessi politici.
Così rispondeva Ruffini:
“È una supposizione calunniosa messa in giro, specialmente fuori dall'Isola di Sicilia, dai socialcomunisti, i quali accusano la Democrazia Cristiana di essere appoggiata dalla mafia, mentre difendono i propri interessi economici in concorrenza proprio con organizzatori mafiosi o ritenuti tali”. |
È evidente che la risposta di Ruffini tradiva una certa irritazione per aver dovuto smentire qualunque commistione tra la fede cristiana e qualsivoglia mentalità criminale o mafiosa. Non di meno non vi è alcuna smentita circa l’esistenza del fenomeno mafioso. L’accusa rivolta alle forze politiche di sinistra è da inquadrare in un momento storico di forte tensione tra Chiesa e forze marxiste e va spiegata anche con la volontà di Ruffini di tutelare l’immagine di una Sicilia dipinta in modo fortemente stereotipato, come se fosse una regione intrinsecamente mafiosa.
Il primo vescovo a parlare di mafia
L’anno dopo infatti il cardinale Ruffini parlò pubblicamente di mafia con lo scopo palese di non minimizzare il fenomeno ma anche di tutelare la stragrande maggioranza dei siciliani e la loro dignità di popolo onesto e spesso dimenticato. Fu inoltre il primo a parlare di “stato nello stato” riferendosi alla mafia.
In occasione della Domenica delle Palme del 1964, pubblicò una lettera pastorale dal titolo Il vero volto della Sicilia che rappresenta il primo documento ufficiale di un vescovo siciliano e della Chiesa cattolica riguardo alla mafia. La lettera evidenzia un chiaro intento di difesa della Sicilia e di distinzione dei siciliani rispetto alla mafia:
« Non può destare meraviglia che il vecchio, deplorevole sistema sia sopravvissuto: pur essendo cambiato il campo d'azione. Le radici sono rimaste: alcuni capi, approfittando della miseria e dell'ignoranza, sono riusciti a mobilitare gruppi ardimentosi, pronti a tutto osare per difendere i loro privati interessi e per garantire la loro supremazia nella orticoltura, nel mercato e nei più disparati settori sociali. Questi abusi sono divenuti a poco a poco tristi consuetudini perché tutelati dall'omertà degli onesti, costretti al silenzio per paura, e dalla debolezza dei poteri, ai quali spettavano il diritto e l'obbligo di prevenire e di reprimere la delinquenza in qualsiasi momento, a qualunque costo. Si rileva dai fatti che la Mafia è sempre stata costituita da una sparuta minoranza. La Sicilia è ancora lontana dall'avere quel benessere che le spetta; per troppo tempo è stata quasi dimenticata; sono necessari provvedimento che il popolo non può darsi da sé. Occorrono case, scuole – specialmente elementari e professionali – e fonti di lavoro. […] Urge che siano applicati con la dovuta energia e la maggiore sollecitudine i rimedi deliberati dalle pubbliche autorità – e altri siano presi se risultano necessari – perché scompaiano quanto prima la delinquenza e l'immoralità, sia individuali che associate »
Giovanni Falcone e il card. Pappalardo
Le reazioni a questa lettera furono molte e contrastanti fra loro e tra di esse molte addebitarono senza alcun fondamento a Ruffini di aver negato l'esistenza della mafia, che sarebbe stata un'invenzione dei comunisti. Al riguardo, valga l'analisi acutamente svolta dal Giudice Giovanni Falcone, che – in un articolo comparso su L'Unità il 31 maggio 1992, otto giorni dopo la sua morte – rilevava come negli anni del dopoguerra il fenomeno mafioso fosse stato totalmente sottovalutato sia da parte di tutti i mezzi di informazione, sia da parte di tutte le istituzioni dello Stato, politiche e giudiziarie.
Nel 1994 il cardinale Salvatore Pappalardo, arcivescovo di Palermo, in un'intervista rilasciata al Giornale di Sicilia il 25 febbraio di quell’anno ha scritto:
«Il Cardinale Ruffini, che tanti meriti ebbe a Palermo, per l'attività sociale che promosse, per i tanti e diversificati centri di servizio che aprì, tuttora operanti, per il lavoro che procurò e diede, sollecitando le autorità di allora, svolse certamente un'azione quanto mai efficace nei riguardi della mafia, anche se non ebbe a parlarne quanto dopo se ne è fatto. In fondo le opere valgono più delle parole. Non si può pretendere ora, quando tante cose sono meglio conosciute, che egli avesse allora così circostanziato il quadro di cosa fosse la mafia, e delle azioni che si potessero ad essa riferire».
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