Il ruolo della TV e la fine dell’epoca laicista

Alcuni brani dell’intervista a Ettore Bernabei di Luigi Amicone, Tempi 28 luglio 2008
(…) “Nessuna altra forma di comunicazione, di socializzazione, di informazione e di acculturamento è così quotidiana, prolungata ed efficace come quella televisiva. È inutile che si sbraccino questi che hanno investito in internet e che fanno sapere che ora la gente andrà tutta in rete. Stupidaggini. Staremo davanti a uno schermo domestico ancora per molto tempo, perché la tv è il mezzo più comodo e di più facile accesso”.

Il 97 per cento degli italiani vede mediamente tre ore di televisione al giorno. Dicono che gli ingredienti che tengono “agganciati” i telespettatori siano il sesso e la violenza. È davvero così?
Di fatto la tv è diventata una comunicazione pubblicitaria inframmezzata da intrattenimenti informativi e spettacolari. È come uno stadio dove si svolgono gare sportive e negli intervalli ci sono bande militari e sfilate di ragazze pon pon. L’intrattenimento e l’informazione televisivi sono come quelle bande e quelle ragazze lì, tra un tempo e un altro della partita. Sì, oggi i programmi hanno solo il compito di tenere agganciato lo spettatore in attesa dello spot. Devono mantenerlo incollato al televisore senza far funzionare il cervello, agganciandolo dalla cintola in giù.

Faccio l’avvocato del diavolo: è sicuro che non sia il pubblico a volere questo tipo di tv?
Non è affatto vero che la gente vuole violenza e pornografia. Quando Benigni nel 2007 fece il suo show in Rai Uno, fino alle dieci e venti fece le sue battute, poi cominciò a leggere il trentatreesimo canto del Paradiso facendolo seguire da una spiegazione molto divulgativa, comprensibile, popolare: lo rimasero a sentire fino alle undici e venti ben 12 milioni e mezzo di persone! Ecco come tutto è distorto, insufflato dai grandi determinatori della comunicazione tv, che sono gli stessi della finanziarizzazione speculativa dell’economia globalizzata. Sono i grandi misteriosi guru che hanno sbagliato tutto con la finanza speculativa che ha prodotto solo ricchezza virtuale e truffaldina, che hanno continuato a sbagliare la comunicazione televisiva.

E allora, visto che non sono dei buoni samaritani, perché non cambiano registro?
Il mercato sta cambiando. Prenda ad esempio il recente festival della fiction, dove sono state presentate le nuove serie internazionali. C’è una serie americana che, invece di raccontare i trecento diversi tipi di adulterio di Beautiful, racconta, attraverso l’attività di alcuni agenti della Cia, le vicende della vita internazionale degli ultimi quarant’anni. Oppure la nuova serie inglese dei Tudor, che, invece di dare a intendere che Enrico VIII era un nuovo Virgilio, un benefattore dell’umanità, fa vedere che era uno squilibrato e che Tommaso Moro era una onesta persona. Addirittura. Insomma, sembrerebbe che qualcuno cominci ad accorgersi che hanno sbagliato con la tv “deficiente”, come ebbe a definirla la signora Ciampi. Ora si presenta il nuovo problema di trovare il personale capace di fare questa tv. Nella nuova serie dei Tudor  gli attori sono quasi tutti giovani sconosciuti, bravi interpreti, non ci sono le grandi star della vecchia tv. Comunque sia, sono convinto che, paradossalmente, la crisi finanziaria porterà buone nuove, almeno per quanto riguarda l’offerta televisiva.

In effetti c’è almeno una riprova di quanto sta dicendo: al tempo del referendum sull’embrione non c’era rete tv che non fosse schierata per l’abrogazione della legge 40. Il risultato sembrava scontato. E invece il popolo andò da tutt’altra parte.
È così. Da tempo il popolo è da tutt’altra parte. Ora qualche guru della finanza si deve essere accorto che questa tv che si pensava fosse narcotizzante, stupefacente e che affievolisse le capacità mentali e le capacità critiche e quindi assopisse, invece lascia insoddisfatti e pertanto inquieti. La vecchia Dc aveva tanti difetti, però aveva l’accortezza di essere tollerante, garantiva le stesse libertà personali e di gruppo ai suoi elettori, e quelli comunisti e quelli fascisti; mandava la sera a dormire la gente alle dieci e mezzo, soddisfatta. Comunque almeno tranquilla. Questa tv manda a letto la gente inquieta e incazzata. E così la gente vota contro il governo.

Questa non l’ho capita. La gente vota contro il governo a causa di una cattiva tv?
Nel 1992 Tangentopoli era cominciata appena da due mesi e aveva colpito solo quel “mariuolo” di Mario Chiesa: l’elettorato tolse sei punti alla Dc imputandole la tv negativa che da sette-otto anni imperversava anche in Rai (la quale per sopravvivere faceva le stesse cose di Mediaset). Poi la Dc fu spazzata via dai giudici e venne il nuovo, la cosiddetta Seconda Repubblica. E la gente stette a guardare. Vennero alla Rai i professori della sinistra. Diedero a intendere che la Rai non era in grado di pagare la tredicesima mensilità. Almeno mille dei milleduecento licenziati in Rai dal presidente Claudio Demattè per “ridurre le spese” erano professionisti che non avevano difetti. Tranne quello di essere cattolici. Una vera e propria pulizia etnica; per la quale nessuno protestò. Nemmeno il mondo cattolico, che si lasciò epurare. Eppure era stato fatto solo per motivi di contrapposizione ideologica. Tra i licenziati c’erano Gian Paolo Cresci, Giovanni Salvi, Emanuele Milano. Anche per questo le sinistre persero il potere nel 2001, quando arrivò il centrodestra. Berlusconi nel 2006 perse la leadership per la medesima ragione. La gente ragiona così: chi sta al governo controlla la televisione. Ma se la televisione non è tollerante e non manda la gente a dormire serena, quando poi va alle urne la gente penalizza sempre chi sta al potere. (…)

Per la Lux Vide lei si è dedicato alla programmazione di grandi sceneggiati, anche per i mercati internazionali: è questo il futuro della tv di prima serata?
Per lo meno me lo auguro. Sì, penso a una tv che affronti i grandi temi della vita senza presunzione e senza volere mescolare periodi e grandezze diversi. La tv può fare quello che ha fatto il teatro tragico greco, quello che hanno fatto Shakespeare e il teatro spagnolo di Calderón de la Barca e di Lope de Vega. Affrontare, anche attraverso l’intrattenimento e la sceneggiatura, i temi della vita di tutti gli uomini di tutti i tempi. Cosa che non possono certo fare i reality show. I quali per altro nulla hanno a che vedere con la realtà: sono solo una mediocre finzione scritta da piccoli sceneggiatori e recitata da modestissimi filodrammatici. (…)

Lei non è un economista, ma ha un’esperienza del mercato che non è certo di seconda mano. Si è fatto un’idea della presente crisi economica internazionale?
Fenomeni come quello di Nicolas Sarkozy non si inventano di punto in bianco. Sarkozy nel dicembre dell’anno scorso è venuto a Roma a prendere l’investitura di canonico in San Giovanni in Laterano. Investitura che spetta di diritto a tutti i capi di Stato francesi dai tempi di Carlo Magno. Ma non so se, oltre a Sarkozy, in milleduecento anni sono venuti a Roma a ricevere quell’investitura altri nove leader transalpini…

Scusi, che c’entra Sarkozy?
Le pare normale che il leader della Francia laicista rilasci interviste all’Osservatore Romano in cui dice che il laicismo ha sbagliato tutto nella sua polemica antireligiosa e che è venuto il momento che cambi atteggiamento nei confronti delle religioni e delle chiese? È normale che i grandi della finanza e della comunicazione permettano a Bush ciò che non ha potuto nemmeno Roosevelt, cioè coprire il deficit delle banche con i soldi dello Stato? Anche in Italia Giulio Tremonti, gran liberista, ha scritto un libro di keynesismo puro. L’avrebbe potuto scrivere La Pira. Questo cosa significa, secondo lei?

Non so, forse che siamo alla frutta?
No, che siamo alla fine di un’epoca. La grande destabilizzazione è cominciata nel 1968. Volevano mettere in difficoltà la Chiesa. Adesso, dopo quarant’anni, capiscono che hanno sbagliato. E ricorrono alla Chiesa per salvare il salvabile.