Cosa dice la dottrina cattolica su Alfie Evans

di Tommaso Cardinale e Matteo Casarosa, 2 maggio 2018
Come abbiamo raccontato in questo articolo, la vicenda del bambino  Alfie Evans è terminata con la sua morte. La malattia che ha colpito il cervello del bambino è attualmente sconosciuta.

Per questo motivo la polemica delle scorse settimane non si è concentrata sulla possibilità o meno di guarigione del bambino, ma sulla possibilità dei genitori di decidere in che modo e in quale contesto avrebbe dovuto passare quelli che poi si sarebbero rivelati i suoi ultimi giorni.

Poiché Tom Evans, il padre di Alfie, è stato ricevuto da papa Francesco, che in diversi tweet ha manifestato il proprio appoggio per la famiglia di Alfie, abbiamo pensato di approfondire che cosa dice la dottrina cattolica su casi come quello di Alfie Evans:

Nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nella sezione dedicata al comandamento “Non uccidere”, si legge:

2278
L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'« accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.

2279
Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d'ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L'uso di anelgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta nè come fine nè come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.
 
In linea di principio non si può condannare l'interruzione della ventilazione meccanica, al netto delle preoccupanti ingerenze delle varie corti britanniche nelle decisioni dei genitori di Alfie. Come sostenuto da John Skalko in una pubblicazione riportata anche dal National Catholic Bioethic Centre, in alcuni casi estremi la ventilazione meccanica può essere considerata un mezzo sproporzionato di cura del paziente (e quindi non obbligatorio). 
 
In particolare, la ventilazione meccanica si distingue in un modo moralmente rilevante dalla nutrizione artificiale, dall'idratazione artificiale e dal sostegno con ossigeno tramite mascherina, poiché non si limita a fornire una risorsa necessaria per la vita, ma forza una funzione biologica che altrimenti non avrebbe luogo. Per queste ragioni la ventilazione meccanica si può definire terapia, anche se non ha come fine la guarigione.
 
Tutto questo non elimina il fatto che nella maggior parte dei casi, e molto probabilmente anche in quello di Alfie, la ventilazione meccanica è un mezzo proporzionato. D'altra parte sostenere che l'equipe medica abbia agito direttamente contro la dottrina della Chiesa cattolica e per provocare la morte di Alfie è una semplificazione esagerata.

In questo articolo Dan Hitchens, del Catholic Herald, espone chiaramente le implicazioni etiche della situazione di Alfie e la posizione della dottrina della Chiesa Cattolica su di essa, approfondendo proprio il punto del catechismo sopra citato. La traduzione è nostra.

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Cosa ha impedito alla corte di dire “Procedete, portare vostro figlio all’estero”? Il giudizio della Corte Suprema ha reso chiaro che le istituzioni sono effettivamente incoraggiate a scartare la visione dei genitori sulla questione. 
 
In “ogni questione sullo sviluppo del bambino”, scrive il giudice, “il benessere del bambino è il criterio fondamentale”. Questo giudizio dà l’impressione - magari solo esteriore - che i desideri dei genitori non solo sono stati superati, ma ridotti al nulla, dalla visione della corte riguardo il miglior interesse del bambino.

David Jones, direttore del Centro di Bioetica Anscombe, sostiene che ci sia un problema sul come la legge procede in queste situazioni: “La legge non considera sufficientemente il diritto dei genitori e il dovere di prendere delle decisioni per il loro bambino”, sostiene Jones in una mail. 
 
Se esiste un “rischio considerevole” per la vita del bambino o per il suo benessere “allora le decisioni possono essere prese senza l’opinione dei genitori” continua Jones. Ma in tutti gli altri casi “i genitori dovrebbero essere considerati come coloro che prendono le decisioni in prima istanza”.

Jones aggiunge che “c’è della virtù nell’accettazione della mortalità e nell’ammissione dei limiti della medicina”. Ciò non significa che i genitori abbiano “il diritto di forzare i medici a offrire cure che essi stessi non credono scientificamente indicate”. 
 
Tuttavia il trasferimento della cura è un’altra questione. “Laddove i genitori non sono irragionevoli e si dimostrano in grado di trovare un medico che possa provvedere alla cura che essi desiderano, dovrebbe normalmente essere loro permesso di trasferire la cura del loro bambino da quel medico”.

Il giudice Justice Hayden ha disposto che la decisione sia presa fuori dal consenso dei genitori a causa del pericolo che Alfie stesse soffrendo (sebbene il giudice fosse d’accordo con i medici che ciò fosse “improbabile”) e in nome della “dignità futura” di Alfie e della sua “autonomia”.
 
Ecco cosa dice la dottrina cattolica su casi come quello di Alfie

Alcuni cattolici hanno accusato l’Alder Hey di aver “condannato Alfie a morte”. Altri, invece, ricordano che la dottrina cattolica non indica di accettare qualunque cura sia possibile ricevere: quando una linea di azione è spiritualmente, fisicamente o finanziariamente troppo “gravosa”, non è obbligatoria. Se i medici puntano alla morte, attraverso mezzi scientifici o eliminando cibo e acqua, ciò è un grave errore; ma astenersi dalla cura, come proposto dall’Alder Hey, non lo è necessariamente o in ogni caso concreto.

Ciò che rimane sconcertate, anche a tanti osservatori che accettano la visione dell’Alder Hey riguardo la malattia di Alfie, è il totale rifiuto di dare ai genitori di Alfie una possibilità di scelta su un altro ospedale altamente qualificato che si è offerto per una terapia o per lo meno di provare a prolungare la vita, sicuramente non futile, del piccolo Alfie.
 
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