La Misericordia: sintesi del libro del Card.Kasper citato da Papa Francesco

di Benedetto Ippolito, 8 aprile 2013

Nel suo primo Angelus Papa Francesco ha citato il libro del Cardinale Kasper "Misericordia", uscito in Germania l’anno scorso e pubblicato in Italia quest’anno da Queriniana. Offriamo di seguito una sintesi ragionata dei contenuti, elaborata dal Prof. Benedetto Ippolito.

Non si tratta di un volume indiscutibile del magistero, ma di una dissertazione ragionata e raffinata di un teologo cattolico su un tema specifico e un tantino dimenticato oggi, vale a dire la questione della misericordia di Dio verso gli uomini, e degli uomini tra di loro.

Prima di entrare nel merito dello scritto, è utile preliminarmente tener presente la definizione canonica che Tommaso d’Aquino ha offerto alla Chiesa latina di quest’importante attributo teologale: la misericordia. Tutti sanno bene che Dio è misericordioso, e tutti sanno altrettanto bene che la misericordia è una delle beatitudini che permettono di ricevere clemenza e comprensione quando sia praticata a dovere con fede sincera. Ma, ed è ovvio sia così, non tutti sanno maneggiare altrettanto accuratamente un concetto tanto complicato, tenendolo presente nel suo significato preciso. In ciò può aiutare appunto l’Aquinate. Tommaso nella Summa Theologiae afferma, come rammenta di continuo Kasper, che “misericordia significa avere il cuore nella miseria altrui”. Una prospettiva di generosità, si capisce, che è intrinsecamente cristiana e rimanda direttamente al sacrificio della Croce.

Di certo sappiamo che il libro di Kasper inaugura, fin dal primo capitolo, un itinerario che intende visitare e ampliare proprio tale orizzonte concettuale della condivisione tra immanenza e trascendenza, aprendo un confronto con la storia della cultura occidentale nel suo insieme, senza disdegnare una rilevante simmetria con le altre civiltà e religioni non occidentali.

Kasper, senza confessarlo apertamente, si attiene accuratamente a questo orientamento sicuro, analizzando appunto la questione della misericordia prima dal punto di vista filosofico, ossia riguardo a quanto la ragione sa dire da sé in proposito, e aggredendo in seguito il punto di vista teologico, ossia relativo a quanto la Rivelazione ha sancito e stabilito divinamente nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Il buon risultato è, pertanto, assicurato da principio.

L’argomento principale del libro, che qui non può neanche essere riassunto nei suoi lineamenti essenziali, è che il pensiero filosofico antico, prima del Cristianesimo, non contemplava la presenza teologica della misericordia, ossia di un’idea tanto eccezionale quanto la compartecipazione divina al dolore umano. Infatti, la tradizione greca, specialmente Aristotele, considera Dio come totalmente separato dalle realtà terrene. La prerogativa del Primo Motore Immobile, ad esempio nella Metafisica, è di essere distaccato e concentrato unicamente su di sé. Quindi, Dio è non solo privo di un’empatia misericordiosa con le vicende umane, ma perfino estraneo alla conoscenza di quanto accade quaggiù. Il Dio filosofico greco, d’altronde, non creava e non provvedeva al mondo, ma se ne stava staccato, chiuso e beato in se stesso.

Con il Cristianesimo, invece, ecco che entra in scena un nuovo rapporto positivo tra Dio e il mondo: un Padre creatore concepito come protagonista unico e attivo della storia della salvezza, autore di un disegno razionale raccolto attorno alla volontà misteriosa di redimere un universo prodotto nel tempo e amato per sempre dall’eternità. La salvezza è la volontà stessa di Dio, la quale vede Dio stesso partecipare subito e in prima persona alle vicende del Popolo d’Israele, attraverso l’Antica Alleanza, per poi discendere definitivamente e direttamente nel mondo con l’Incarnazione per il riscatto dell’umanità, ottenuta mediante il sacrificio sulla Croce del suo Figlio Unigenito. Il Cristianesimo, in breve, è una teologia della misericordia, ossia della remissione dei peccati umani nel sangue glorioso di Cristo, versato pubblicamente sulla Croce e reso eterno con la Resurrezione, la presenza dello Spirito Santo e la promessa della Vita Eterna.

Il discorso di Kasper non sarebbe molto interessante, a ogni buon conto, se si arrestasse qui, perché si avrebbe l’impressione di essere introdotti in un universo teologico guidato unicamente dalla Rivelazione e, quindi, senza la possibilità che Dio divenga concretamente comprensibile alla ragione umana, ad esempio nella considerazione filosofica. Per Kasper, viceversa, è l’itinerario stesso della cultura contemporanea di mostrare assiduamente il contrario. Come osserva, infatti, egli stesso esplicitamente nel secondo e più importante capitolo del libro, la filosofia moderna nasce con il solipsismo e la chiusura verso la trascendenza a causa di una soggettività singolare e chiusa nell’unilateralità dell’Io. In effetti, è sufficiente leggere Cartesio o, a suo modo, Leibnitz per trovare conferma dell’istanza non relazionale che ispira la modernità. E senza rapporto con l’altro nessuno può in alcun modo trovare né misericordia, né solidarietà, né salvezza personale. Spogliato di ogni prospettiva dialogica, non resta, quindi, che un individuo nudo, solo e avvolto nel nichilismo e nella disperazione. E’ probabilmente per questa inconsapevole malinconia di Dio che, nel momento massimo della parabola illuminista, un filosofo geniale come Immanuel Kant, nella Critica della Ragion Pratica, è stato spinto dalla coerenza stessa del suo razionalismo a recuperare la trascendenza del Sommo Bene come completamento necessario di una morale chiusa in modo ferreo nella sfera della soggettività individuale e dei suoi imperativi categorici.

La nostalgia dell’altro, il desiderio di un riferimento dell’Io al Tu, è, in fin dei conti, un anelito profondo della nostra contemporaneità, un tormento mai soppresso e mai eluso completamente, anche se mai risolto realmente. Tant’è che il XX secolo ha visto emergere, sotto svariati punti di vista, non da ultimo l’esperienza tragica dell’Olocausto, la grande questione dell’omicidio collettivo dell’alterità, nell’ambito di un pensiero razionale identitario che metodologicamente ha inteso distruggere in senso assoluto il prossimo e la fede nella misericordia, non intendendo, però, rinunciare mai alla pietà per l’altro, al coinvolgimento e alla responsabilità verso la sofferenza altrui. In conseguenza di questa contraddizione, non solo Martin Heidegger, ma Emmanuel Levinas, Paul Ricoeur e perfino Jacques Derrida sono giunti, nei momenti chiave della loro traiettoria speculativa, a trovare nella condivisione dell’angoscia, nella partecipazione all’altro, nella nuova esigenza d’intersoggettività, aspetti umani e parziali della misericordia, declinata laicamente come desiderio di redenzione nostalgica che non trova, però, mai un vero sbocco finale.

La filosofia di oggi, dunque, sebbene sia in un certo modo decisamente avulsa dalla fede come lo era quella pagana dell’antica Grecia, ha, di fatto, introdotto al suo interno un bisogno naturale di misericordia, di compartecipazione al dolore e alla sofferenza; e, quindi, anche una necessità di solidarietà talmente forte da rendere impellente e urgente il recupero della superiore ed esclusiva risposta appagante del Cristianesimo.

Kasper può così, a giusta ragione, dedicare il capitolo finale del libro, prima di un breve e apprezzabile commiato mariano, alla filosofia e alla teologia politica. Seguendo la traccia monografica prescritta dal tema della misericordia, il magistero di Benedetto XVI torna qui in tutta la sua potenza, attore protagonista di una vera svolta paradigmatica della dottrina sociale. Non solo nella Caritas in Veritate del 2009, ma ancor più nella Deus caritas est del 2006 sono riposti i semi di un’idea sociale inedita, costruita attorno al valore dell’Amore di Dio, una misericordia spirituale e corporale che replica in modo dirompente agli aneliti profondi che la filosofia contemporanea ha reclamato per suo conto, in modo soltanto parziale, negli ultimi centocinquant’anni di ricerca speculativa. Tale risposta etica appare perfino urgente, davanti all’insuperabile crisi economica che stiamo vivendo, per un genere umano che attende con impazienza una prospettiva su cui costruire la propria speranza di sopravvivenza futura.

Misericordia di Kasper, insomma, non chiude, ma apre uno sfondo su cui lavorare in avvenire, anche al di fuori dello stretto novero degli specialisti e degli studiosi di teologia e filosofia, una linea sociale aperta alla povertà in nome di una misericordia che ha nel perdono di Dio il suo fondamento.

Si può dire, in fin dei conti, a mo’ di conclusione, che esistono aspetti culturali molto importanti nel “laico” pensiero filosofico dei nostri tempi che esigono di essere studiati, capiti e inclusi nella “teologia nostra”, vale a dire in una teologia cattolica che valorizzi l’efficacia e la potenzialità integrali del Cristianesimo, una Verità che Dio ha offerto personalmente e dato a noi cristiani una volta per sempre per “uscire” da noi stessi e renderci protagonisti nel mondo di una testimonianza di fede misericordiosa e attenta ai bisogni concreti di ogni civiltà e di ogni persona.