Le radici giudaico cristiane nella teologia secondo B-XVI

di Maurizio Crippa, Il Foglio, 4.2.09
La leggenda nera sta montando
Un salto indietro di decenni nel dialogo interreligioso. Così l'Assemblea dei rabbini italiani aveva giudicato il "motu proprio" del 2007 che liberalizzando la liturgia preconciliare aveva reintrodotto, con l'antico messale, anche la preghiera "per gli ebrei" del Venerdì Santo, per quanto in una versione riveduta e corretta. Anche da alcuni settori del mondo cattolico erarno giunte critiche per un documento considerato "in contrasto con i testi conciliari". Da ultimo, il pasticcio del vescovo lefebvriano negazionista ha retrodatato le polemiche sul pensiero di Benedetto XVI. Secondo Gad Lerner, la "Dominus Jesus" firmata nel 2000 dall'allora prefetto per la Dottrina della fede aveva lo scopo di "delimitare la portata della richiesta di perdono agli ebrei voluta da Giovanni Paolo II". Un salto indietro di qualche decennio, però, consentirebbe anche di ritrovare i fili del lungo rapporto del teologo Joseph Ratzinger con l'ebraismo e di smontare la piccola leggenda nera che si sta addensando attorno al Papa tedesco.

I rapporti con la Comunità cattolica d’integrazione
C'è ad esempio un filo prezioso e poco noto, riannodato da Gianni Valente nel suo "Ratzinger professore" (San Paolo) in cui sono ricostruiti gli anni vissuti da teologo in Germania. Nei primi anni Settanta. Ratzinger entra in rapporto con la Katholische Integrierte Gemeinde (Comunità cattolica di integrazione) che dal primo Dopoguerra aveva avviato una profonda revisione teologica e spirituale del cattolicesimo tedesco che non si era "ribellato davanti alla Shoah, alla distruzione della sinagoga". Attraverso il rapporto sempre più intenso con personalità del mondo ebraico, il gruppo nel corso degli anni arriverà a formulazioni di grande apertura sull'ebraismo: "Dio può avere due spose? Non è forse questa divisione fra sinagoga ed ecclesia così piena di male il motivo più profondo di tutte le divisioni che seguirono nella storia della chiesa?... Non è forse che la chiesa debba radicarsi nell'ebraismo, per poter essere del tutto cattolica, e cioè universale?". II rapporto di stima tra Ratzinger e questa comunità (sarà lui, arcivescovo di Monaco, ad approvarne nel 1978 gli statuti) non si è mai interrotto. E il dialogo teologico proseguito negli anni romani ha indubbiamente influenzato il prefetto della Dottrina della fede, "trovando risonanze sempre più evidenti nell'approccio ratzingeriano nei confronti dell'ebraismo" (Valente).

La continuità tra la speranza di Abramo e la speranza cristiana
Uno dei punti d'arrivo di quel percorso fu, nel 1994, un discorso tenuto a Gerusalemme per un incontro interreligioso (il testo è ora nel volume "Molte religioni un'unica speranza", San Paolo) in cui il cardinale espose in maniera sistematica la sua visione, modulata "sulla riscoperta della continuità tra la speranza di Abramo e la speranza cristiana, tra la legge della Torah e la legge nuova del Vangelo". Una visione proseguita fino all'apprezzatissinio discorso nella sinagoga di Colonia nel 2005, quando Benedetto XVI ribadì che "anche nelle cose che a causa della nostra intima convinzione di fede ci distinguono gli tini dagli altri, anzi proprio in esse, dobbiamo rispettarci ed amarci a vicenda". E ripeté con San Paolo che "i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili". Per Ratzinger, il popolo ebreo fa parte a pieno titolo della storia della salvezza e per questa ragione, come disse in un'intervista del 1996, "senza contatti ininterrotti con l'ebraismo vivo e attuale, il cristianesimo non sarebbe fedele alle proprie origini".

La Nostra Aetate
    Nel suo pluridecennale rapporto teologico con l'ebraismo, Ratzinger ha contribuito molto al superamento della "teologia della sostituzione". Contrariamente a qualche giudizio affrettato, Ratzinger è andato molto più avanti rispetto alla posizione uscita dal Concilio, dove il tema della teologia della sostituzione non era stato affrontato. E' noto che la "Nostra Aetate", la Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, fu un compromesso. Il lavoro sinodale doveva inizialmente produrre un testo più coraggioso "Sugli ebrei e i non cristiani". E' noto che furono le pressioni congiunte di vescovi dei paesi arabi, timorosi di ritorsioni, e dei tradizionalisti a costringere a un testo più blando, dal quale sparì ad esempio l'esplicita ritrattazione dell'accusa di "deicidio".

L’impegno del giovane Ratzinger nel dialogo
E' anche noto il ruolo avuto dal cardinale di Colonia Josef Frings, che mediò personalmente con Paolo VI, affinché il testo sull'ebraismo non venisse ulteriormente declassato. Il più ascoltato dei periti di Frings era il giovane Ratzinger, Lui stesso, in un'intervista rilasciata poco prima di diventare Papa, ha raccontato: "Dovevamo dialogare anche con gli ebrei, chiarire con loro la nostra relazione, soprattutto dopo gli avvenimenti del nazismo... Ristabilire una relazione con il mondo ebraico era per noi realmente una priorità, fin dall'inizio. Era già cominciata una nuova lettura dell'Antico Testamento: condividevamo con gli ebrei la maggior parte della nostra Bibbia, quindi i fondamenti della nostra fede, perché anche il Nuovo Testamento si riferisce sempre all'altro e non è leggibile senza di esso. Ed erano anche già iniziati dialoghi amichevoli con ebrei di diverse correnti. La priorità era ristabilire, quindi, una nuova relazione col popolo ebreo: da una parte, volevamo esprimere la nostra amicizia, ma anche il nostro pentimento per i fatti negativi di duemila anni di storia, e dall’altra parte, senza offendere gli ebrei, anche esprimere la nostra identità". E concludeva: "A quel tempo il documento en considerato un po’ secondario, mentre oggi capiamo che è uno dei documenti fondamentali del Concilio".

Il documento: “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana"
Da allora il contributo di Ratzinger è stato continuo. Tra l'altro, fu lui a Valorizzare il lavoro del cardinale di Parigi Jean-Marie Lustiger, ebreo convertito, per il superamento della teologia della sostituzione e a chiamarlo alla commissione per le Relazioni religiose con l'ebraismo. E parte di quel lavoro è confluita nel magistero di Giovanni Paolo II e poi di Benedetto XVI. Uno dei documenti centrali prodotti dal cardinale prefetto, unanimemente considerato tra i momenti più alti del dialogo tra ebrei e cristiani, è la prefazione al documento “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana" promulgato nel 2001 dalla Pontificia commissione biblica. Vi si legge: "Un congedo dei cristiani dall'Antico Testamento non solo, come prima mostrato, avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile ad un rapporto positivo fra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune". E vi si legge ancora che dagli eventi del passato deve conseguire "un rinnovato rispetto per l'interpretazione giudaica dell'Antico Testamento". E che "i cristiani possono imparare molto dalla esegesi giudaica". E’ difficile considerare il "mea culpa" del 2000 di Giovanni Paolo e gli altri suoi numerosi gesti nei confronti dell'ebraismo come mere iniziative "profefiche", estranee al contesto e al lavoro che si andava svolgendo, Ratzinger supervisore, nellacommissione vaticana.

La Dominus Iesus
Per quanto riguarda il documento più discusso e controverso di Ratzinger, la "Dominus Jesus", vale la pena ricordare un intervento del cardinale Walter Kasper, presidente del comitato internazionale per i Rapporti tra cattolici ed ebrei, in cut il porporato suggeriva una "interpretazione autentica" del pensiero ratzingeriano sull'ebraismo tesa a fugare i dubbi: "Le relazioni tra cattolici ed ebrei non sono un sottoinsieme delle relazioni interreligiose", scriveva. "Nello spirito della chiesa, l'ebraismo è unico tra le religioni del mondo, perché, come afferma la 'Nostra Aetate' esso è “la radice dell'olivo buono sulla quale sono stati innestati i rami dell'olivo selvatico dei gentili". E, soprattutto, la "Dominus Iesus non afferma che tutti debbano diventare cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio - che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo - è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la chiesa crede che l'ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all'alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse".