Ru486: quante ragioni per non «adottarla»

di Viviana Daloiso, Avvenire È Vita, 28 febbraio 2008
Per i "tifosi" della Ru486 è una vittoria. Non importa se la stessa Agenzia del farmaco italiana – l’Aifa, che martedì ha espresso un primo giudizio sulla possibilità che la pillola abortiva sia introdotta nel nostro Paese – abbia smentito la notizia enfatizzata ieri da molti quotidiani, spiegando come la decisione costituisca solo una tappa formale in un percorso ancora tutto da compiere. I problemi dell’aborto chimico rimangono gli stessi che abbiamo tante volte spiegato in queste pagine. Qui vogliamo ricapitolarli, anche per ribadire che ci sembrano insormontabili per l’adozione del farmaco in Italia.

1) LE MORTI
La pillola abortiva – che viene spacciata per «aborto dolce» – ha già ucciso. Rispetto a quanto sostenuto nel bollettino Aifa n. 4 del 2007 «Ru486, efficacia e sicurezza di un farmaco che non c’è» – che si è avvalso di una bibliografia medica non aggiornata –, le donne morte in seguito all’assunzione della pillola sono state sedici. L’ultimo caso risale all’anno scorso: una diciottenne americana è deceduta per l’infezione letale da batterio Clostridium Sordelii (che non causa febbre, e perciò è difficilmente individuabile) in seguito all’assunzione della Ru486 per via orale, cioè la modalità finora usata negli ospedali italiani.

2) L’INDICE DI MORTALITÀ
Tale indice di mortalità è stato confermato dalle autorità scientifiche mondiali: nel 2005 il New England Journal of Medicine ha stabilito con chiarezza che il rischio di morte per aborto chimico è dieci volte maggiore rispetto a quello per aborto chirurgico.

3) LE COMPLICAZIONI
Anche gli eventi avversi causati nelle donne dall’assunzione della pillola abortiva riportati nel bollettino dell’Aifa risultano sottodimensionati. Comunicazioni pubbliche della Fda (l’ente di controllo Usa) risalenti al 2006 riferiscono di almeno 950 "incidenti" segnalati spontaneamente, con 9 casi di pericolo di vita, 116 trasfusioni, 88 infezioni, 6 eventi trombotici e altri 232 casi di ospedalizzazione. «Inoltre esiste il rischio frequente di emorragie endoaddominali e di gravidanze extrauterine – spiega Filippo Maria Boscia, ginecologo pugliese, presidente della Società italiana per la bioetica – con la concreta possibilità che venga compromessa la capacità gestazionale della donna in futuro».

4) I CONTROLLI
Davanti a tante morti e complicazioni documentate, stupirebbe un via libera all’adozione da parte di un’autorità rigorosa come l’Aifa che ha sempre svolto con grande severità il controllo sui farmaci candidati alla commercializzazione in Italia. Lo dimostra il caso clamoroso del Lipobay, popolare anti-colesterolo ritirato 6 anni fa dal commercio, e quello di molti altri farmaci che non hanno causato morti ma soltanto reazioni allergiche (come, recentemente, il vaccino Morupar).

5) LE MODALITÀ
Il protocollo per la Ru486 prevede una prima pillola, che causa la morte del feto, seguita dopo due giorni dall’assunzione per via orale (o vaginale) di misoprostol, che provoca le contrazioni uterine e permette l’espulsione del feto. «Questo significa – aggiunge l’ordinario di Clinica ginecologica e ostetrica all’Università di Bologna, Luciano Bovicelli – che l’aborto da Ru486, in condizioni "ottimali" di riuscita dura 72 ore e che per essere compatibile con la legge 194 richiede un’ospedalizzazione di almeno tre giorni per la donna». Il che non è avvenuto, per esempio, nel caso dell’Ospedale Sant’Anna di Torino, dal quale il ginecologo Silvio Viale (per questo motivo indagato dalla Procura torinese) ha dimesso ben 289 donne (su 362) prima che l’aborto fosse effettivamente avvenuto, permettendo che per 38 di loro – parte lesa nell’inchiesta – l’espulsione del feto avvenisse a domicilio.

6) L’EFFICACIA
La Fda ha stabilito che nell’80% dei casi l’aborto medico si esaurisce in tre giorni. E nell’altro 20%? La documentazione scientifica parla di aborti durati fino a tre, quattro settimane, e in cui si è dovuti ugualmente ricorrere a interventi chirurgici di raschiamento (in un ospedale toscano si è giunti al 40% dei casi). Dunque, sempre per rispettare la legge 194, nel nostro Paese la donna dovrebbe essere ospedalizzata per varie settimane. Ricorrendo non di rado all’intervento chirurgico, nonostante la procedura farmacologica. Si tratterebbe, come specificato dall’articolo 15 della stessa legge 194, di una tecnica «moderna» e «meno rischiosa per la salute della donna»?

7) LA SECONDA PILLOLA
Si è detto che la prima pillola nel protocollo Ru486, il mifepristone, da sola non basta a indurre l’aborto. Per espellere il feto serve un secondo farmaco in grado di produrre le contrazioni uterine. Il più utilizzato è il misoprostol, una prostaglandina, commercializzato con il nome di Cytotec, e che tuttavia è registrato e venduto dall’azienda che lo produce (la Searle) come farmaco antiulcera. La stessa Searle, peraltro, ha diffidato dall’usarlo come abortivo, spiegando di non aver mai svolto studi sui suoi effetti in questo senso. Ecco dunque un altro freno all’introduzione della Ru486 nel nostro Paese: quello di un uso non autorizzato («off label») del Cytotec, fuori cioè dalle indicazioni previste.

8) I DOSAGGI
C’è disaccordo sui dosaggi legati al protocollo Ru486. Mentre il padre della pillola abortiva, il francese Emile Baulieu, sconsiglia vivamente un dosaggio di mifepristone sottodimensionato – come quello di 200 mg –, è proprio quest’ultimo a essere stato approvato dall’Emea (l’agenzia del farmaco europea), mentre negli Usa se ne usano 600 mg.

9) LA SALUTE DELLA DONNA
Secondo chi la vuole adottare, la Ru486 dovrebbe rendere la procedura dell’aborto meno traumatica per la donna, che non deve ricorrere a un intervento chirurgico. «In realtà la donna vive in prima persona l’evento dell’uccisione del figlio – spiega la psicoterapeuta Giuliana Mieli – e viene lasciata sola sia nello svolgimento di quell’evento (l’espulsione del feto spesso avviene a casa) sia nelle ripercussioni psicologiche di quest’ultimo». Secondo l’unico studio effettuato in questo senso, e pubblicato sul British Medical Journal, il 56% delle donne che ha abortito con Ru486 ha riconosciuto l’embrione espulso. Non basta per dire no alla Ru486?