Avvenire, 20/9/06
La recente apertura dei fondi dell'Archivio segreto vaticano sul pontificato di Pio XI impone un doppio registro di riflessione. Da un lato, l'anelito allo scoop rischia di snaturare il senso di un'operazione culturale assai profonda. Dall'altro, la ricerca su un imponente patrimonio archivistico quale quello ora disponibile esige riflessione e ponderazione, e comunque analitica freddezza. Un punto di attrazione delle nuove carte riguarda il triangolo Vaticano-Italia fascista-Germania nazista. Per la Santa Sede, la politica tedesca dell'Italia fascista comporta numerosi problemi.
Hitler ha rinnegato la «pace dei vincitori» e, all'inizio del 1938, la Germania nazista si accinge ad annettere l'Austria, primo passo verso un «nuovo ordine». Che cosa manca a Hitler? Un alleato, che contrasti la pressione franco-britannica. L'Italia è alla portata, ma Mussolini resiste: siamo talmente amici che non abbiamo bisogno di firmare un'alleanza che confermi che lo siamo. Un argomento che sa tanto di escamotage, e che rafforza la cordata antitedesca presente nel regime fascista e alimenta le speranze in Vaticano. Che fare adesso che Hitler (siamo nella primavera del 1938) sta per ricambiare la visita a Mussolini, recandosi nella Roma cristiana? E, per ciò che ci interessa, che dirà il Papa?
L'apporto delle carte vaticane si rivela allora preziosissimo. La Santa Sede viene informata per tempo dell'arrivo in Italia del dittatore tedesco. Una nota di Pacelli del 16 marzo 1938 ci informa che Pio XI era rimasto molto soddisfatto dalle notizie recategli dal padre Tacchi Venturi, navetta ufficiosa fra il papa e il duce, in merito agli interventi di Mussolini «contro la continuazione della politica di persecuzione religiosa in Germania». Ma quasi subito l'aria andò scurendosi. Il 23 marzo Il Messaggero pubblicò una «velina» governativa su come accogliere degnamente Hitler. «Perché la manifestazione risulti degna dell'Urbe è opportuno che i proprietari di fabbricati siti lungo il percorso ufficiale (Via Ostiense, via delle Piramidi, viale Aventino, via dei Trionfi, via dell'Impero, via IV Novembre, via Nazionale, via XXIV Maggio, Corso Umberto, corso Vittorio Emanuele, via della Conciliazione), preparino i progetti di decorazione degli stabili». Via della Conciliazione? In Vaticano ciò causa sorpresa. Pacelli «ha chiamato S. E. l'Ambasciatore [italiano] e gli ha prospettato la sconvenienza della cosa», si legge in un appunto anonimo.
Sull'onda di queste notizie allarmanti, il 24 marzo il cardinale Pacelli impartisce un ordine preciso. Si dica a Mussolini che portare Hitler in una via della Conciliazione impavesata di croci uncinate «sarebbe cosa da fare grande dispiacere al S. Padre. Ci si chiede anche «se l'apoteosi spinta a quegli eccessi di un nemico così confesso non sia contraria all'art. I del Concordato». Il voler portare Hitler vicino al Vaticano, «è cosa che corruccia il S. Padre». È l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Pignatti Morano di Custoza, a rassicurare il Papa: «Nel tracciare gl'itinerari che il Führer dovrà percorrere durante la permanenza a Roma - si legge in un appunto segreto per Pacelli - è stato attentamente evitato il passaggio per la via della Conciliazione e la piazza San Pietro». Ma in via strettamente confidenziale l'ambasciatore aggiunge che Hitler transiterà giocoforza per il viale Vaticano «mancando altre convenienti strade di accesso alla località alle quale il Führer dovrà recarsi». Anche gli addobbi degli edifici privati, che il Governo ha ordinato di apporre in via della Conciliazione, eviteranno «ogni esagerazione che possa riuscire spiacevole alla Santa Sede». Il papa accetterà questa soluzione di ripiego? Un'osservazione manoscritta di Pacelli lo chiarisce: «Il S. Padre deplora anche questo passaggio. Nulla da scrivere».
Gli eventi successivi sono densi. Il Vaticano ha sconfessato la dichiarazione dei vescovi austriaci, i quali pronunciandosi per l'Anschluss hanno dato prova di «mancanza di fiducia e di lealtà» nei confronti della Chiesa. Rivelatore è anche l'ordine impartito da Pacelli il 21 aprile del 1938 all'episcopato italiano: «Qualora, in occasione della venuta in Italia del Cancelliere, gli Eccellentissimi vescovi ricevessero inviti per intervenire a cerimonie in suo onore, il S. Padre desidera si astengano dall'accettarli».
A pochi giorni all'arrivo di Hitler, il 24 aprile, Pio XI impartisce precise istruzioni al nunzio in Italia. Occorre comunicare al governo italiano che «l'uomo, al quale si preparano tanti festeggiamenti, è oggi il più grande persecutore della Chiesa». Le istruzioni vengono eseguite quattro giorni dopo, quando Borgongini viene ricevuto dal ministro Buffarini Guidi, che chiede se sia vero che il papa starebbe ritardando la sua partenza per Castel Gandolfo per non chiudere la porta a Hitler. «Sono persuaso - è la risposta del nunzio - che, se Hitler domandasse l'udienza nei debiti modi, il Papa sarebbe capace di ritornare da Castello per riceverlo». Al che Buffarini: «Quali sono questi debiti modi?». Chiara la replica del nunzio: «Certo il Papa non si contenterebbe di riceverlo solamente per sentirsi dire: buongiorno o buonasera. Ma avrebbe bisogno, io penso, come condizione preliminare che il Führer facesse una dichiarazione pubblica di cambiamento di rotta, e, naturalmente, secondo un testo da prestabilirsi». Le condizioni poste dal Vaticano sul «cambiamento di rotta» da imporre a Hitler persuasero il ministro italiano che le vie del Papa e del Führer non si sarebbero mai incontrate.
A fine aprile il Governo italiano dà notizia ufficiale dell'arrivo di Hitler il 2 maggio a Roma. «Ho detto all'Osservatore Romano - si legge in un appunto anonimo della Segreteria di Stato - di non pubblicare questa notizia e tacessero sulla venuta di Hitler». Com'è noto, questo silenzio fu amplificato dalla partenza del Papa per Castel Gandolfo, e dalle parole da lui pronunciate in un'udienza, in cui diceva che stavano accadendo «tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un'altra croce, che non è la Croce di Cristo».
Tutti gli organi di stampa europei (di cui gli archivi vaticani conservano ampi stralci) colsero la visita di Hitler in Italia come la prova più evidente di una crisi nei rapporti tra la Germania nazista e il Vaticano. «I giornali hanno ricevuto l'ordine del ministero della Stampa di ignorare l'allocuzione del Papa contro la Germania - riferisce un appunto vaticano anonimo -. Negli ambienti giornalistici si parla di un'enciclica contro Hitler».
Le carte vaticane, dunque, non solo chiariscono l'incolmabile distanza esistente tra il Vaticano e la Germania nazista in questo delicatissimo frangente, ma ci narrano anche delle preoccupazioni della Santa Sede verso una politica estera italiana vertiginosamente vicina a Hitler il quale, solo un anno dopo, avrebbe coronato il suo sogno: il fatale Patto d'acciaio tra Berlino e Roma.
Hitler ha rinnegato la «pace dei vincitori» e, all'inizio del 1938, la Germania nazista si accinge ad annettere l'Austria, primo passo verso un «nuovo ordine». Che cosa manca a Hitler? Un alleato, che contrasti la pressione franco-britannica. L'Italia è alla portata, ma Mussolini resiste: siamo talmente amici che non abbiamo bisogno di firmare un'alleanza che confermi che lo siamo. Un argomento che sa tanto di escamotage, e che rafforza la cordata antitedesca presente nel regime fascista e alimenta le speranze in Vaticano. Che fare adesso che Hitler (siamo nella primavera del 1938) sta per ricambiare la visita a Mussolini, recandosi nella Roma cristiana? E, per ciò che ci interessa, che dirà il Papa?
L'apporto delle carte vaticane si rivela allora preziosissimo. La Santa Sede viene informata per tempo dell'arrivo in Italia del dittatore tedesco. Una nota di Pacelli del 16 marzo 1938 ci informa che Pio XI era rimasto molto soddisfatto dalle notizie recategli dal padre Tacchi Venturi, navetta ufficiosa fra il papa e il duce, in merito agli interventi di Mussolini «contro la continuazione della politica di persecuzione religiosa in Germania». Ma quasi subito l'aria andò scurendosi. Il 23 marzo Il Messaggero pubblicò una «velina» governativa su come accogliere degnamente Hitler. «Perché la manifestazione risulti degna dell'Urbe è opportuno che i proprietari di fabbricati siti lungo il percorso ufficiale (Via Ostiense, via delle Piramidi, viale Aventino, via dei Trionfi, via dell'Impero, via IV Novembre, via Nazionale, via XXIV Maggio, Corso Umberto, corso Vittorio Emanuele, via della Conciliazione), preparino i progetti di decorazione degli stabili». Via della Conciliazione? In Vaticano ciò causa sorpresa. Pacelli «ha chiamato S. E. l'Ambasciatore [italiano] e gli ha prospettato la sconvenienza della cosa», si legge in un appunto anonimo.
Sull'onda di queste notizie allarmanti, il 24 marzo il cardinale Pacelli impartisce un ordine preciso. Si dica a Mussolini che portare Hitler in una via della Conciliazione impavesata di croci uncinate «sarebbe cosa da fare grande dispiacere al S. Padre. Ci si chiede anche «se l'apoteosi spinta a quegli eccessi di un nemico così confesso non sia contraria all'art. I del Concordato». Il voler portare Hitler vicino al Vaticano, «è cosa che corruccia il S. Padre». È l'ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Pignatti Morano di Custoza, a rassicurare il Papa: «Nel tracciare gl'itinerari che il Führer dovrà percorrere durante la permanenza a Roma - si legge in un appunto segreto per Pacelli - è stato attentamente evitato il passaggio per la via della Conciliazione e la piazza San Pietro». Ma in via strettamente confidenziale l'ambasciatore aggiunge che Hitler transiterà giocoforza per il viale Vaticano «mancando altre convenienti strade di accesso alla località alle quale il Führer dovrà recarsi». Anche gli addobbi degli edifici privati, che il Governo ha ordinato di apporre in via della Conciliazione, eviteranno «ogni esagerazione che possa riuscire spiacevole alla Santa Sede». Il papa accetterà questa soluzione di ripiego? Un'osservazione manoscritta di Pacelli lo chiarisce: «Il S. Padre deplora anche questo passaggio. Nulla da scrivere».
Gli eventi successivi sono densi. Il Vaticano ha sconfessato la dichiarazione dei vescovi austriaci, i quali pronunciandosi per l'Anschluss hanno dato prova di «mancanza di fiducia e di lealtà» nei confronti della Chiesa. Rivelatore è anche l'ordine impartito da Pacelli il 21 aprile del 1938 all'episcopato italiano: «Qualora, in occasione della venuta in Italia del Cancelliere, gli Eccellentissimi vescovi ricevessero inviti per intervenire a cerimonie in suo onore, il S. Padre desidera si astengano dall'accettarli».
A pochi giorni all'arrivo di Hitler, il 24 aprile, Pio XI impartisce precise istruzioni al nunzio in Italia. Occorre comunicare al governo italiano che «l'uomo, al quale si preparano tanti festeggiamenti, è oggi il più grande persecutore della Chiesa». Le istruzioni vengono eseguite quattro giorni dopo, quando Borgongini viene ricevuto dal ministro Buffarini Guidi, che chiede se sia vero che il papa starebbe ritardando la sua partenza per Castel Gandolfo per non chiudere la porta a Hitler. «Sono persuaso - è la risposta del nunzio - che, se Hitler domandasse l'udienza nei debiti modi, il Papa sarebbe capace di ritornare da Castello per riceverlo». Al che Buffarini: «Quali sono questi debiti modi?». Chiara la replica del nunzio: «Certo il Papa non si contenterebbe di riceverlo solamente per sentirsi dire: buongiorno o buonasera. Ma avrebbe bisogno, io penso, come condizione preliminare che il Führer facesse una dichiarazione pubblica di cambiamento di rotta, e, naturalmente, secondo un testo da prestabilirsi». Le condizioni poste dal Vaticano sul «cambiamento di rotta» da imporre a Hitler persuasero il ministro italiano che le vie del Papa e del Führer non si sarebbero mai incontrate.
A fine aprile il Governo italiano dà notizia ufficiale dell'arrivo di Hitler il 2 maggio a Roma. «Ho detto all'Osservatore Romano - si legge in un appunto anonimo della Segreteria di Stato - di non pubblicare questa notizia e tacessero sulla venuta di Hitler». Com'è noto, questo silenzio fu amplificato dalla partenza del Papa per Castel Gandolfo, e dalle parole da lui pronunciate in un'udienza, in cui diceva che stavano accadendo «tristi cose, molto tristi, e da lontano e da vicino a noi; molto tristi cose; come il fatto di inalberare a Roma le insegne di un'altra croce, che non è la Croce di Cristo».
Tutti gli organi di stampa europei (di cui gli archivi vaticani conservano ampi stralci) colsero la visita di Hitler in Italia come la prova più evidente di una crisi nei rapporti tra la Germania nazista e il Vaticano. «I giornali hanno ricevuto l'ordine del ministero della Stampa di ignorare l'allocuzione del Papa contro la Germania - riferisce un appunto vaticano anonimo -. Negli ambienti giornalistici si parla di un'enciclica contro Hitler».
Le carte vaticane, dunque, non solo chiariscono l'incolmabile distanza esistente tra il Vaticano e la Germania nazista in questo delicatissimo frangente, ma ci narrano anche delle preoccupazioni della Santa Sede verso una politica estera italiana vertiginosamente vicina a Hitler il quale, solo un anno dopo, avrebbe coronato il suo sogno: il fatale Patto d'acciaio tra Berlino e Roma.
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