Pacs e Dico: domande e risposte

Zenit, mercoledì 28 febbraio 2007
Il ruolo della famiglia monogamica, la richiesta di matrimonio da parte degli omosessuali, le proposte di legge sulle coppie di fatto, sono al centro di un intenso dibattito tra Chiesa cattolica e istituzioni civili. 


In Europa dove ogni tre minuti c’è un divorzio o una separazione e dove la crescita demografica è sotto lo zero, la Chiesa teme un ulteriore indebolimento della famiglia monogamica e della capacità e volontà di procreazione. 


In molti Paesi europei sono passate legislazioni a favore delle unioni di fatto e dei matrimoni fra persone omosessuali, ma in Italia il Pontefice Benedetto XVI, la Santa Sede, la Conferenza Episcopale e l’intero mondo cattolico, si sono mobilitati per impedire quella che definiscono come una ulteriore deriva morale. 


Per cercare di capire a fondo le implicazioni della legislazione proposta (Dico) e per rispondere a tutti i quesiti sollevati circa i diritti delle coppie di fatto, Zenit ha intervistato il professor Giacomo Samek Lodovici, assegnista di ricerca in Filosofia morale all'Università Cattolica di Milano, dove ha conseguito il dottorato di ricerca e vinto il Premio Gemelli quale miglior laureato in filosofia (nel 1999). 



Alcuni sostengono che sui Pacs (e sui Dico) i cattolici vorrebbero imporre la loro visione religiosa anche a chi non è credente? È Vero? 


Samek Lodovici: Ci sono varie ragioni laiche, che non richiedono di essere credenti, per rifiutare i progetti di istituzione dei Pacs (magari non li si chiama con questo nome, e li si chiama Dico, ma la sostanza cambia poco), cioè riguardanti il riconoscimento pubblico delle unioni tra i conviventi. 

Il matrimonio non è una invenzione cristiana: è stato istituito molto prima.
Per esempio Aristotele scrive: «L’amicizia tra marito e moglie […] è naturale: l’uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato». [Etica Nicomachea 1162a 16-19]. 


Ancora, per esempio, il matrimonio romano è sempre stato monogamico e solo tra un uomo e una donna. In età neroniana lo stoico Musonio Rufo (cfr. gli studi di I. Ramelli) nelle sue Diatribe spiega che la famiglia va protetta perché è il fondamento della società civile e della prosperità comune e dice che va protetta la vita che in essa nasce. Addirittura, dice che la vita dovrebbe nascere soltanto nella famiglia. 

E quando Nerone per due volte convola a nozze omosessuali viene biasimato duramente da Tacito, Svetonio e Cassio Dione. 



Perché lo Stato dovrebbe proteggere il matrimonio monogamico? 


Samek Lodovici: Perché deve incentivare quelle forme di vita che contribuiscono al bene comune e che tutelano i deboli e gli indifesi, quindi in primo luogo deve incentivare la procreazione, la cura e l’educazione dei figli, che assicurano la sopravvivenza della società e la protezione dei deboli per eccellenza, cioè i bambini. 

Mettiamoci appunto dalla parte dei bambini. È chiaro che il contesto più propizio per la loro nascita, cura ed educazione è una forma di relazione caratterizzata dall’amore, dalla stabilità e dalla coesione. 

Per contro, le convivenze sono connotate (con poche eccezioni) dalla provvisorietà, sono intenzionalmente di breve durata, perché i conviventi non si impegnano con alcun vincolo a rimanere insieme. 


Per esempio, gli uomini che convivono sono 4 volte più infedeli dei mariti, e le donne conviventi tradiscono 8 volte di più delle mogli (cfr. Gallagher - Waite, 2000). Un gruppo di ricercatori della Rutgers University (USA) ha mostrato che su 4 bambini nati da coppie di fatto, 3 patiscono la sofferenza della rottura dell’unione dei loro genitori prima dei 16 anni di età, e rimangono a vivere con un solo genitore.
S. Brown – della Bowling Green State University (Usa) – ha inoltre documentato che i figli delle coppie di fatto soffrono di disordini psicologici (come asocialità, depressione, difficoltà di concentrazione) più frequentemente rispetto a quelli degli sposati. In più, il tasso di violenza domestica è molto più alto tra le coppie di fatto che tra quelle coniugate e la depressione è 3 volte maggiore tra i conviventi che tra gli sposati. 



Perché opporsi ai matrimoni omosessuali? 


Samek Lodovici: Quanto alle coppie omosessuali, è ovvio che esse non possono contribuire mediante la procreazione alla continuazione della società. 


Si obbietta che potrebbero farlo adottando dei bambini. Ma, in realtà, dare dei bambini in adozione a queste coppie significa, quanto meno, privarli della figura materna/paterna, che non può essere surrogata da chi è uomo/donna. 


Xavier Lacroix ha criticato efficacemente l’attendibilità di alcuni dati che vengono citati per sostenere che per un bambino essere adottato da omosessuali è indifferente. 

Al contrario, i dati che finora abbiamo a disposizione mostrano che i bambini affidati a queste coppie hanno una probabilità molto più alta di soffrire di gravi disturbi psicologici, di avere un’autostima bassa, una maggiore propensione alla tossicodipendenza e ad autolesionarsi (cfr. Deevy, 1989, p. 34), per almeno i seguenti 5 motivi. 


1) La già menzionata assenza della figura materna/paterna. È vero che ci sono casi della vita in cui i bambini trovano le figure di riferimento femminile/maschile fuori dalla coppia genitoriale; ma ciò è un rimedio che non si verifica sempre e che non intacca l’inaccettabilità della privazione iniziale. Esistono situazioni particolari (per es. in tempo di guerra) in cui alcuni bambini vengono allevati da due donne; ma una situazione eccezionale dà adito a soluzioni eccezionali che non possono essere la norma, né un bene. 


2) La brevità dei legami omosessuali, che si infrangono molto più frequentemente di quelli delle coppie coniugate, con o senza figli. D. McWirther e A. Mattison, che sono ricercatori gay (quindi non sospettabili di parzialità), hanno esaminato 156 coppie omosessuali: solo 7 di queste avevano avuto una relazione esclusiva, ma comunque nessuna era durata più di 5 anni. Le relazioni omosessuali durano in media un anno e mezzo i maschi gay hanno mediamente 8 partner in un anno fuori dal rapporto principale (Xiridou, 2003). In un’ampia ricerca di un volume di ben 506 pagine (si noti che questo volume è stato pubblicato dall’Istituto Kinsey, che non è certo ostile all’omosessualità, anzi l’ha fortemente promossa) di A.P. Bell e M.S. Weinberg (Homosexualities: A study of diversity among men and women, Simon & Schuster, New York 1978) svolta su un campione americano, si mostrava che su 574 uomini omosessuali solo l’1 % aveva avuto 3-4 partner, il 2 % 5-9, il 3 % 10-14, il 3% 15-24, l’8 % 25-49, il 9 % 50-99, il 15 % 100-249, il 17 % 250-499, il 15 % 500-999, il 28 % 1000 (mille) e più. Ed un’indagine su 150 uomini omosessuali di età tra i 30 e i 40 anni ha mostrato che già a quell’età il 65% aveva avuto più di 100 (cento) partner sessuali (cfr. Goode – Troiden, 1980). Ci sono rare coppie omosessuali che continuano a coabitare per più anni, ma tra loro non c’è quasi mai esclusività nei rapporti. 


3) Gli omosessuali hanno probabilità molto superiori di avere una salute peggiore, di avere problemi psicologici (cfr. Rothblum, 1990, p. 76; Welch, 2000, pp. 256-263), che si ripercuotono sui bambini. Anche in Olanda, dove il clima culturale è molto tollerante verso l’omosessualità, uno studio su 7.076 soggetti ha mostrato che i disturbi psicologici degli omosessuali sono davvero numerosi (cfr. Sandfort, 2001, pp. 85-91). Forse è anche per questo motivo che nell’ambiente omosessuale la percentuale di suicidi è superiore alla media. Infine, il tasso di violenza è assai alto (Cameron, 1996, pp. 383-404). 


4) I bambini che vengono adottati hanno alle spalle già una storia di sofferenze e/o violenza: così, alla differenza tra i genitori naturali i genitori adottivi «che già di per sé costituisce una difficoltà – si viene ad aggiungere il fatto che la coppia dei secondi non è analoga alla coppia dei primi» (Lacroix, p. 56). 


5) Ancora, «è insito nel bambino un bisogno di divisione dei ruoli, di sapere “chi fa che cosa” e “da chi mi posso aspettare questo atteggiamento e da chi mi posso aspettare quell’altro”» (Lobbia – Trasforini, p. 89). 



Le convivenze si sfasciano spesso, ma anche i matrimoni naufragano...
Samek Lodovici: Sappiamo e vediamo tutti che anche un matrimonio può naufragare. Però è certamente l’istituto giuridico che dà le maggiori garanzie di durata perché, mentre per il matrimonio la fragilità è una forma di patologia, per le altre unioni essa è la norma, visto che non si impegnano a restare unite e come si riscontra dai dati poc’anzi riportati. Abbiamo già citato dati americani: 3 bambini su 4 nati da coppie di fatto vedono il naufragio dell’unione dei loro genitori prima dei 16 anni di età. 

Ma quante sono le coppie conviventi che naufragano rispetto a quelle coniugate? In Gran Bretagna il 75 % dei crolli delle coppie che hanno bambini piccoli riguarda genitori non sposati (cfr. www.avvenireonline.it/Famiglia/Documenti+e+Rapporti/20060112.htm). Se dunque il matrimonio è come una casa costruita per abitarci per tutta la vita e che può crollare, gli altri tipi di unione sono come delle case costruite per stare in piedi solo per un certo periodo, dopo il quale crollano quasi sempre. 



Dunque lo Stato dovrebbe proteggere il matrimonio monogamico per il bene dei bambini? 


Samek Lodovici: Dunque, se ci mettiamo dalla parte dei bambini, vediamo che il matrimonio monogamico dà maggiore garanzie di stabilità, perché: 

a) il vincolo giuridico matrimoniale rafforza il legame; 

b) il diverso atteggiamento dei coniugi (che fanno un progetto di definitività) rafforza l’impegno; 

c) l’antropologia culturale dimostra che la ritualizzazione (per es. la cerimonia nuziale) di un impegno accresce la capacità di rispettarlo. 

Inoltre lo Stato deve proteggere il matrimonio monogamico perché è l’istituto giuridico migliore per garantire la continuazione di una società. 


Perché i Dico potrebbero favorire la transizione di alcune convivenze verso il matrimonio? 


Samek Lodovici: Di per sé questo è possibile, dato che concedono alcuni benefici e diritti solo dopo un certo numero di anni. Però, il rischio, naturalmente, è che questo numero di anni venga progressivamente accorciato da successivi interventi legislativi. Ma immaginiamo pure che ciò non avvenga. Restano almeno due forti obiezioni: 


1) Niente impedisce ai conviventi che fanno un Dico di lasciarsi in qualsiasi momento mediante una semplice raccomandata, perché essi non sono reciprocamente vincolati, come lo sono invece i coniugi. Per esempio, al coniuge che abbandona il tetto coniugale può essere addebitata la separazione, il che può precludere l’assegno di mantenimento. Oppure, per fare un altro esempio, i coniugi che vogliono divorziare non ottengono il divorzio prima che siano trascorsi tre anni dalla separazione. Il che significa che hanno un periodo per un ripensamento e, a volte, cambiano idea. In Spagna Zapatero ha introdotto il cosiddetto divorzio express, che riduce i tempi del divorzio a soli tre mesi, cioè ha quasi cancellato i tempi per un ripensamento. Così i divorzi sono aumentati: erano 52.591 all’anno prima della legge, sono diventati 82.340 già nei soli primi sei mesi del 2006. 


2) Soprattutto il problema è che i Dico creano un modello concorrenziale alternativo al matrimonio, perciò lo indeboliscono, diminuendo il numero complessivo dei matrimoni: quindi il bilancio complessivo sarà sicuramente a sfavore del matrimonio. In termini complessivi ci sarà una diminuzione di matrimoni (pur conteggiando la possibile transizione di alcuni Dico in matrimoni) e un aumento di convivenze o di Dico. 

Perché lo indeboliscono? Perché non bisogna trascurare l’impatto (di cui parlavano, ben prima del cristianesimo, per es., Platone e Aristotele) della legislazione sui comportamenti di un popolo. Per esempio, in Olanda il consumo di stupefacenti è aumentato dopo la loro legalizzazione; in Italia la legge sul fumo ha comportato una diminuzione generale del consumo di sigarette; sempre in Italia, secondo l’Istat, la legge sul divorzio (1970) ha fatto precipitare i matrimoni: erano 419.000 nel 1972, sono scesi a 250.000 nel 2005; in Spagna abbiamo già detto che la legge sul divorzio express ha aumentato i divorzi. 

È vero, per esempio, che la legge contro l’aborto non lo ha eliminato; ma neanche la legge sul furto ne cancella l’esistenza, eppure non pensiamo certo di abrogarla, perché i furti aumenterebbero se questa legge e le sue sanzioni non ci fossero. Insomma, l’istituzionalizzazione di una prassi la diffonde:
1) perché spesso si pensa che ciò che è legale sia anche morale e dunque cadono le remore etiche;
2) perché la legalizzazione di una prassi la rende più comodamente accessibile;
3) perché elimina le pene e le sanzioni. È vero che le convivenze (giustamente) non sono proibite dalla legge e non comportano sanzioni. Ma la loro istituzionalizzazione le diffonde, a discapito del matrimonio. 

Primo, perché le rende più allettanti, giacché i Dico danno la possibilità di godere di vari benefici ed incentivi, a fronte di nessuno o pochi doveri, che invece i coniugi si assumono: perché sposarsi se si possono avere gli stessi diritti e quasi nessun dovere mediante il Dico? Perché rischiare, in caso di naufragio del matrimonio, di dover sopportare tutte le fatiche burocratiche, le spese economiche e lo stress psicologico di un divorzio quando è possibile sciogliere un Dico con una comunicazione? 

Secondo, perché le riconosce socialmente, dicendo che l’ordinamento non ritiene più, come è stato fino ad oggi (per le buone ragioni che sono state spiegate ai punti n. 2, 3 e 4), che le relazioni affettive matrimoniali siano le più auspicabili, bensì prospetta varie possibilità, che a livello di diritto sono equiparate. 

Del resto, l’impatto della legislazione pro Pacs nella sottoscrizione di questo istituto, di questa pratica si vede bene dal caso francese: nel 2000, primo anno di applicazione della legge, furono 22.000; nei soli primi nove mesi del 2006 ne erano già stati stipulati altri 57.000, per un totale di 200.000 dal 2000. Ogni anno, insomma, c’è stato un incremento costante. 

Ma anche a prescindere dall’aumento progressivo di Pacs è chiaro che saranno sempre di più le persone che, pur non stipulandoli, vivranno relazioni affettive deboli, non matrimoniali, senza assunzione di responsabilità, senza progetto. 



Alcuni, anche tra i cattolici, sostengono il principio: “Io non voglio fare un Pacs (o un Dico), ma non posso impedire agli altri di farlo”. Come rispondere a questa argomentazione? 


Samek Lodovici: Invece è giusto rispondere no ai Dico, perché queste forme di simil matrimonio danneggiano i bambini, cioè i deboli per eccellenza, e danneggiano lo Stato stesso. Il che non significa vietare le convivenze, ma solo che esse non debbono essere istituzionalizzate. 



Ma lo Stato concede incentivi anche ai coniugi che non possono o non vogliono adottare... 


Samek Lodovici: È vero, ma uno Stato che controllasse le intenzioni dei coniugi e la loro capacità generativa sarebbe oppressivo. Quel che è certo è che in generale il matrimonio tra un uomo e una donna è, in forza della sua maggiore stabilità, l’ambito più adatto per l’educazione e la crescita dei bambini e, dunque, chiunque si sposa rappresenta un esempio per le giovani generazioni, perlomeno per la volontà di dare al rapporto una dimensione di durata e stabilità: perciò è giusto che lo Stato incentivi comunque il matrimonio. 



Rifiutare i Pacs (e i Dico) non vuol dire discriminare i conviventi? 


Samek Lodovici: I sostenitori dei Pacs o Dico, affermano che i conviventi sono discriminati. Invece, la vera discriminazione viene proprio dai Pacs e dai Dico, e colpisce i coniugi, perché essi si sono formalmente assunti degli obblighi (per es., di coabitazione, di curarsi reciprocamente, di educare un figlio anche se non è proprio, di contribuire ai bisogni della famiglia, di versare gli alimenti in caso di separazione o divorzio). Perciò, riconoscendo le unioni di fatto, lo Stato attua un atto giuridico a senso unico, perché si assume delle obbligazioni verso i conviventi, mentre questi non ne assumono alcuna, riconosce loro facilitazioni ed incentivi (per es. per comprare la casa, o la pensione di reversibilità, o l’accesso alle case popolari, ecc.) senza esigere in cambio i doveri che invece esige dai coniugi. 



E la possibilità di assistere il convivente all’ospedale, o quella di subentrare nel contratto di locazione, non sono diritti giustamente reclamati dai conviventi? 


Samek Lodovici: In realtà i conviventi hanno già tali diritti e li hanno anche i loro figli. Per esempio, “la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima” (art. 30 della Costituzione). Se i conviventi vogliono far appartenere un immobile ad entrambi, è sufficiente che ne divengano acquirenti insieme. 

Se uno dei conviventi muore, l’altro può subentrargli nel contratto d’affitto, purché entrambi stipulino il contratto. E l’art. 6 della L. 392/78 ha stabilito, dopo l’intervento della Corte Costituzionale (n. 404/88), che in caso di morte del conduttore, nel contratto gli succede anche l’eventuale convivente. 

Questa stessa sentenza dice che se una convivenza termina, se sono nati dei figli, l’alloggio può restare al convivente insieme ai figli, anche qualora il conduttore sia l’altro convivente. Se l’assegnatario ad un alloggio di edilizia popolare abbandona l’alloggio attribuitogli, il convivente ha diritto a succedergli (sentenza 559/89). Ancora, è vero che il convivente non è erede, ma ciò può avvenire, limitatamente alla quota disponibile, mediante testamento. La Corte non ha voluto equiparare la convivenza al matrimonio, ma solo tutelare il diritto del singolo, e in particolare quello dei figli, all'abitazione. 


I Dico invece prevedono che i conviventi in quanto coppia (e non più in quanto singoli) entrino nelle graduatorie per le case popolari e subentrino nel contratto d’affitto. I Dico attribuiscono ai conviventi l’eredità, in ciò avvicinandoli ai coniugi. Se uno si trova all’ospedale, la legge sui trapianti d’organo (cfr. legge n. 91/99) dispone che il convivente possa assisterlo ed esprimere il suo parere circa le cure. Quanto al caso di omicidio, il convivente superstite ha diritto al risarcimento del danno morale (e anche di quello patrimoniale, se è dimostrato che la convivenza era stabile e costituiva un presupposto per un apporto economico futuro e costante). 

Infine, nel processo penale la legge esenta dall’obbligo di deporre anche il convivente. È vero, la pensione di reversibilità non spetta al convivente:
1) la Corte Costituzionale (461/2000) ha spiegato che essa non è un diritto umano fondamentale;
2) la sua attribuzione esige una certezza di rapporto, per evitare frodi;
3) è un giusto beneficio e privilegio per il matrimonio, data la sua funzione sociale. Però, anche in questo caso, nel campo pensionistico l’autonomia privata viene incontro ai conviventi, che possono stipulare polizze assicurative volontarie.

Ma i Dico non menzionano dei doveri dei conviventi? 


Samek Lodovici: I Dico menzionano solo un dovere dei conviventi: la corresponsione degli alimenti, per un periodo limitato, all’ex convivente che dovesse versare in stato di necessità, se la convivenza è durata almeno 5 anni. Quello che deve essere chiaro è che finché i doveri non saranno in tutto e per tutto equivalenti a quelli dei coniugi, non c’è alcun motivo di riconoscere ai conviventi i medesimi diritti dei coniugi. 



E se le persone che convivono si trovano in stato di necessità? Per esempio in condizioni di povertà? 


Samek Lodovici: Se i membri di queste forme di convivenza si trovano in stato di necessità si possono attuare, dove non esistano già, politiche di aiuto ai singoli in quanto singoli, ma non alle relazioni  vale a dire senza equiparazione giuridica dei conviventi ai coniugati e purché tali aiuti restino sempre diversi da quelli concessi ai coniugi. 



Oltre ai coniugi, ci sono altri discriminati dai Dico? 


Samek Lodovici: Ammesso e non concesso che lo Stato debba dare incentivi alle relazioni dei conviventi, allora deve concederli anche ai membri di tutte le altre relazioni affettivo-solidaristiche. Ebbene, i Dico escludono la forme di assistenza reciproca tra anziani o tra religiosi che vivono insieme e si sostengono reciprocamente o tra nonni e nipoti (anche se su questo punto il ddl non è molto chiaro) che vivono insieme, perciò creano una discriminazione. Perché mai privilegiare i conviventi? Forse perché le loro relazioni hanno alla base un’unione sessuale? Ma, se conta solo questa, allora bisognerebbe incentivare economicamente anche la poligamia e l’incesto. E poi, perché solo le relazioni tra due persone, non tra tre, quattro o più persone? 



Qualcuno parla anche del rischio di frodi utilizzando i Dico... 


Samek Lodovici: Certo, perché come si può controllare se la relazione sessuale dei conviventi è effettiva o soltanto dichiarata per ottenere il godimento dei diritti che deriverebbero dai Dico? Equiparando giuridicamente il matrimonio e le altre unioni lo Stato si espone agli abusi e alle truffe di chi vuole aver benefici e diritti senza avere alcun dovere. In Francia esiste ormai un traffico di Pacs offerti a precise tariffe. 


Anche chi si sposa può farlo solo per avere certi incentivi; ma i doveri implicati dal matrimonio rendono meno allettanti tali diritti ed incentivi. Inoltre i Dico prevedono che un extracomunitario che non ha il diritto di soggiorno ottenga il permesso di soggiorno se convive tramite un Dico con un italiano: le simulazioni di convivenze saranno moltissime.
In teoria, infatti, un cittadino italiano potrebbe stipulare anche decine di Dico in un anno con altrettanti extracomunitari: dopo ogni revoca si stipula una nuova convivenza e così si apre la porta a tutti i finti conviventi che si crede. 


Ancora, il Disegno di Legge sui Dico dice che, se i conviventi non si recano insieme all'anagrafe per registrarsi, può andarci anche uno solo, che deve poi comunicare all'altro la registrazione avvenuta, mandandogli una raccomandata con ricevuta di ritorno. Ora, dato che all'anagrafe ci può andare anche un solo convivente, che poi “ha l'onere di darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'altro convivente; la mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della presente legge”, e visto che la raccomandata, dato che i due convivono, la manda al suo stesso indirizzo, e considerato che la ricevuta di ritorno la può firmare chiunque, può benissimo succedere che uno dei due conviventi dichiari la convivenza senza che l'altro lo sappia. 

Cioè Tizio e Caia coabitano. Caia va all'anagrafe, invia a Tizio la raccomandata, che arriva quando Tizio non è a casa. A casa c’è lei, dato che vivono insieme, e lei firma la ricevuta: così Tizio non sa che ha fatto un Dico. Insomma: se i due non vanno a registrarsi all'anagrafe, insieme o separatamente, come fanno all'anagrafe a sapere che entrambi vogliono fare un Dico? E se Tizio non vuole assumersi l’obbligo di versare gli alimenti e Caia glielo vuole imporre a sua insaputa?
Ancora, i Dico non possono essere stipulati da chi coabita per motivi contrattuali, per esempio un anziano e una badante. Ma è facile immaginare che una badante in nero possa approfittare della debolezza o della complicità dell’anziano che assiste per assicurarsi (grazie ai Dico) permesso di soggiorno, subentro nell’affitto, parte dell’eredità (e anche la pensione di reversibilità, se in futuro verrà concessa ai conviventi). 



Qual è il messaggio che lo Stato dà istituendo i Pacs o i Dico? 


Samek Lodovici: Riconoscendo socialmente le convivenze, lo Stato dice di non ritenere più, come è stato fino ad oggi (per le buone ragioni spiegate), che le relazioni affettive matrimoniali siano le più auspicabili, bensì prospetta varie possibilità, che a livello di diritto sono equiparate. Così, si collocano sullo stesso piano lo stato matrimoniale, che di per sé aspira, almeno tendenzialmente, alla definitività e all’impegno, e quello dei conviventi, che rifiutano la definitività e l’assunzione di responsabilità. Insomma, è come se lo Stato dicesse ai giovani: «che voi facciate delle scelte impegnative che comportano delle responsabilità, o che viviate in rapporti a tempo determinato e con “clausola di rescissione”, per me è lo stesso». Inoltre ai Dico possono accedere anche gli omosessuali, perciò lo Stato avalla l’idea, inaccettabile, che l’omosessualità sia una pratica identica all’eterosessualità e che sia moralmente giusta. 



Ma gli italiani sono veramente interessati ai Pacs e ai Dico? 


Samek Lodovici: Solo il 6% degli italiani ritiene che i Pacs siano un problema importante. Lo dimostra un sondaggio commissionato dalle Acli alla società Codres di Roma, realizzato il 7 e l’8 febbraio, su un campione di circa 1.000 intervistati rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne. 

Malgrado l’esposizione mediatica delle ultime settimane, solo il 6% degli italiani riteneva urgente questo provvedimento. Decisamente altre le priorità segnalate dai cittadini: correggere gli squilibri del sistema pensionistico; fare delle leggi per risolvere i problemi della sanità; dare un sostegno ai lavoratori precari; ridurre gli sprechi nella pubblica amministrazione; fare una politica a sostegno della famiglia; completare il processo di liberalizzazione dei servizi per tutelare i consumatori. 



E quanto interessano ai conviventi? 


Samek Lodovici: Ma neanche agli stessi conviventi i Pacs interessano veramente. In effetti nei comuni italiani dove sono stati istituiti i registri delle unioni di fatto, e nei Paesi europei dove già esistono i Pacs, la richiesta di iscriversi è stata davvero irrisoria, cioè interessa pochissimo ai conviventi.
Ad Arezzo, dal 1996 si sono iscritte sette coppie eterosessuali, di cui in breve tempo una è convolata a nozze e cinque si sono dissolte. Poi più nulla. Anche Pisa, sempre dal 1996, si contano 38 iscrizioni, esattamente come a Firenze. A Bolzano il registro esiste dal 2003: in tre anni nessuna iscrizione. A Trento si contano attualmente 14 coppie. In Friuli Venezia Giulia ci sono registri a Monfalcone (Gorizia) e Cervignano del Friuli (Udine): iscritte un paio di coppie. Nessuna iscrizione a Pizzo Calabro (Vibo Valentia) e a Atzara (Nuoro). Mentre a Bagheria (Palermo), primo paese siciliano ad aver introdotto l’innovativo strumento anagrafico, in due anni e mezzo si è fatta viva una sola coppia, omosessuale.
Una penuria di adesioni che non pare imputabile alla scarsa pubblicità. In Toscana, dove è stato dato grande risalto al registro, è significativo il caso di Piombino: una coppia iscritta. 



Ma se la richiesta da parte dei conviventi è così bassa, perché i Dico sono presentati come un’urgenza improrogabile? 


Samek Lodovici: Perché un primo obiettivo, promosso da una filosofia radical-libertaria, è svuotare di significato il matrimonio, togliergli ogni attrattiva e farlo scomparire. E perché un secondo obiettivo è consentire agli omosessuali di adottare bambini: se i conviventi vengono parificati ai coniugi bisognerà concedere loro, prima o poi, questa possibilità. 



Alcuni sostengono che non saranno i Pacs e i Dico a indebolire il matrimonio che è già in crisi 


Samek Lodovici: Certo, le difficoltà del matrimonio dipendono da varie cause, ma i Pacs e i Dico aggraveranno la crisi. Non bisogna trascurare l’impatto, di cui ho già parlato, della legislazione sui comportamenti di un popolo. 



Ma allora bisogna vietare le convivenze? 


Samek Lodovici: No, non bisogna vietarle. Però lo Stato non le deve incentivare. Quanto detto fin qui non significa che ai conviventi e agli omosessuali debbano essere negati i diritti fondamentali: essi debbono poter usufruire dei diritti di tutti gli altri uomini in quanto singoli, ma non dei diritti che lo Stato riconosce alle coppie sposate per il loro contributo alla continuazione della società. 



Concedere uno status diverso ai coniugi e ai conviventi è una discriminazione 


Samek Lodovici: No, non lo è. Per comprenderlo basta intendersi su che cosa significhi discriminare. Discriminare significa trattare cose uguali in modo diverso. Ora, la relazione dei conviventi è diversa da quella dei coniugi, perché i conviventi non si assumono le responsabilità e gli obblighi a cui i coniugi si impegnano. A maggior ragione, le coppie omosessuali sono diverse da quelle eterosessuali, perché gli omosessuali non possono dare quel fondamentale contributo alla società che è la procreazione. Quel contributo senza il quale la società si suicida. 



Ci sono altre ragioni laiche contro i Pacs e i Dico? 


Samek Lodovici: Sì, i Pacs non devono essere istituiti, perché sono una forma di approvazione pubblica di comportamenti (come le convivenze more uxorio e l’omosessualità) che non debbono certo essere vietati, ma che sono moralmente biasimabili, come si può dimostrare, ancora una volta, laicamente senza far alcun riferimento alla fede cristiana. Mi manca lo spazio per dimostrarlo, ma è così. 



Quale spesa comportano i Dico per lo Stato? 


Samek Lodovici: Già per i Dico, quindi senza concedere ai conviventi la pensione di reversibilità, concedendo la quale il nostro sistema previdenziale collasserebbe, la copertura finanziaria prevista dal Governo è di euro 4 milioni e 600 mila per l’anno 2008 ed euro 5 milioni a decorrere dall’anno 2009. 

E dove trovare le risorse per finanziare questa operazione? Per esempio, tagliando i fondi precedentemente destinati alle famiglie che mandano figli nelle scuole non statali (53 milioni di euro in meno), come ha fatto la Finanziaria, che ha inoltre stabilito che nel nuovo esame di maturità i commissari interni delle scuole statali continueranno a essere pagati, mentre quelli delle scuole non statali non verranno più pagati; oppure tagliando le pensioni di reversibilità delle vedove degli ex dipendenti statali, che grazie alla nuova Finanziaria subiranno una decurtazione del 10 per cento. Come un Robin Hood alla rovescia, dunque, si toglie alla famiglia per dare alle unioni di fatto, comprese quelle omosessuali.