Mini glossario dell'Islam

LiMes 1/2004
 JIHAD  DAR AL-HARB /
DAR AL-ISLAM
DAR AL-SULH, DAR AL-DA'WA,
DAR AL-HIGRA
 SHARI'A KAFIR  TAFKIR
 RIFORMISMO  SALAFIYYA WAHHABIYYA
 IBN TAYMIYYA  SAYYD QUTB MARTIRE
 CALIFFATO     Links e Bibliografia



1. JIHAD: Reso, spesso erroneamente, nelle lingue occidentali con "guerra santa", jihad significa letteralmente "lotta", "sforzo" compiuto "sulla via di Dio" (al-jihad fi sabil Allah). È un concetto che è maturato, grazie all'elaborazione dei giuristi, nei primi due secoli dell'islam (ovvero dal VII al IX secolo d.C.).
La tradizione classica prevede quattro tipi di jihad: con l'"animo", con la "parola", con la "mano" e, infine, con la "spada". I primi tre, rivolti essenzialmente ai singoli fedeli (con l'"animo") e all'intera comunità islamica (con la "parola", con la "mano"), sono considerati il "grande jihad", quello volto alla pacificazione delle proprie passioni personali e al mantenimento del benessere della collettività. Quello con la "spada" è invece considerato il "piccolo jihad" ed è indirizzato all'esterno della comunità, sia per difenderla da un'aggressione armata, sia per far trionfare la parola di Dio sui territori non islamici (si veda la voce dar al-harb/dar al-islam).
Il jihad è obbligo individuale di tutti i credenti capaci di portare armi (anche donne e anziani, ciascuno secondo le proprie possibilità), ma solo in caso di aggressione (si tratta dunque di una guerra difensiva, come oggi in Iraq, Afghanistan, Cecenia e altri territori islamici considerati aggrediti). Ma il jihad può avere anche una valenza offensiva: in questo caso è un obbligo che ricade sull'intera comunità ed è sufficiente che solo un certo numero di musulmani (detti mujahidun o mujahidin) lo esegua personalmente.
La shari'a proibisce l'uccisione degli inermi (donne, bambini, anziani, disabili eccetera), vieta di distruggere i beni del nemico (tra cui, ad esempio, le case) e obbliga a preservare la natura. 

Questa la teoria, ma nell'evoluzione storica delle società islamiche il concetto di jihad offensivo e la sua applicazione pratica hanno molto spesso seguito percorsi diversi. È solo dal X secolo d.C. che il termine acquisisce il significato di "azione militare religiosamente giustificata al fine di creare un ambiente universale islamico" (in questo senso si può parlare di "guerra santa") (G. Vercellin, p. 31). Già a quell'epoca, però, l'universo islamico cominciava ad essere frammentato e diverse autorità (spesso in lotta fra loro) si autodefinivano "legittime" in quanto applicavano, almeno formalmente, la shari'asul proprio territorio. Questo assicurava a ciascun capo la facoltà di proclamare il proprio jihad arrivando, in certi casi, a contestare persino il governo centrale del califfo.
Per gli sciiti, invece, in attesa del ritorno dell'imam "ben guidato" (il mahdi), non era e non è possibile proclamare alcun jihad offensivo in quanto manca, appunto, l'autorità politica religiosa investita per tale prerogativa.
In pieno periodo coloniale, invece, lo strumento del jihad è stato sempre più presente nella sua forma difensiva: dalla resistenza algerina antifrancese guidata dall'emiro 'Abd al-Qådir (seconda metà del XIX secolo) al movimento wahhabita (si veda voce) nella Penisola Araba (inizi del Novecento), dalla resistenza libica antitaliana della confraternita dei Senussi alla stessa dichiarazione di guerra dell'impero ottomano a Gran Bretagna, Francia e Russia nel 1914.
Sul piano teorico, se i riformisti musulmani indiani tendevano a escludere l'uso del jihad in funzione anticoloniale, in Egitto e in altri paesi islamici si diffuse sempre più l'idea del jihad come strumento di lotta anticoloniale, a tratti anche violenta, dalle caratteristiche più politiche che religiose. 
Eppure, fino agli anni Cinquanta-Sessanta del secolo scorso, il richiamo al jihad è sempre stato usato dai leader politici di matrice "laica" solo come un elemento aggiuntivo, come tentativo di allargare il consenso negli ambienti più religiosi della società.
Solo a partire dagli anni Settanta, con l'acuirsi del confronto tra mondo arabo-islamico e Occidente (la guerra del 1967 con Israele segna il termine post quem), il jihad è diventato una vera e propria parola d'ordinesrc=skins/default/toolbar/italic.gif usata da gran parte di quei movimenti cosiddetti islamici che hanno come obiettivo dichiarato la lotta all'imperialismo occidentale e ai regimi arabi alleati dell'Occidente. Il mujahid (pl. mujahidun o mujahidin)è colui che si impegna in questo "cammino di Dio". Il fondamentalismo oggi intende per mujåhid soprattutto il "combattente" che si oppone ai nemici dell'islam.

2 DAR AL-HARB /DAR AL-ISLAM : Come l'intera umanità per l'islam è divisa in fedeli e infedeli (e questi ultimi in pagani e ahl al-Kitåb, si veda la voce kåfir), anche il mondo è diviso in territorio islamico, dår al-islåm, dove prevale il potere musulmano e la legge islamica, e territorio di guerra, dår al-harb inglobante tutto il resto. Quest'ultimo si intende come originariamente appartenente all'islam, ma caduto, in seguito, nelle mani dei non musulmani. Tra dar al-islam e dar al-harb vige uno stato di guerra permanente, moralmente necessario, legalmente e religiosamente obbligatorio, fino al trionfo finale e inevitabile dell'islam sulla miscredenza. Secondo i testi giuridici tale stato di guerra può essere sospeso, se necessario, da un armistizio o da una tregua di durata limitata; non può concludersi con una pace, ma solo con una vittoria finale.

3 DAR AL-SULH, DAR AL-DA'WA, DAR AL-HIGRA: Vi sono poi delle zone intermedie, dette dar al-sulh, territorio di conciliazione, in cui autorità non musulmane accettano la predicazione dell'islam (in questo caso si parla anche di dar al-da'wa, territorio della missione). Infine, in epoca più recente, s'è cominciato a parlare di dar al-higra, territorio dell'emigrazione, un modo per indicare quei paesi non islamici in cui vivono popolazioni islamiche immigrate.

4. SHARI'A: in arabo letteralmente la "via (dritta, rivelata da Dio), ciò che Dio ha stabilito per regolare e valutar tutta l'attività e la condotta del musulmano. Quest'ultimo è sottoposto al dettato sciaraitico ovunque egli si trovi, anche nei paesi non islamici.
Nella shari'a Dio ha stabilito anche i limiti oggettivi, i cosiddetti hudud Allah (limiti di Dio), che separano l'illecito (haram) dal lecito (halal) e all'interno dei quali le azioni si qualificano come obbligatorie (fard), consigliate (mustahabb), sconsigliate (makruh) o libere (mubah).
Il fiqh ha il compito di interpretare e codificare le norme sciaraitiche attraverso l'utilizzo delle fonti, dette usul (le radici) che sono, in ordine di importanza, Corano, Sunna (Raccolta dei detti del Profeta), igma' o consenso dei dotti, qiyas o procedimento analogico e di altri testi con valenza giuridica. 
Oggi molti paesi islamici si richiamano nelle loro costituzioni alla shari'a che spesso viene citata come la "prima fonte del diritto". Ma in concreto il richiamo al diritto islamico è solamente formale. Infatti, a partire dalla metà del XIX secolo e in seguito all'adozione di modelli normativi e concezioni giuridiche estranee alla tradizione islamica, per esempio quelli europei, che hanno attecchito laddove il potere costituito in questi paesi era riuscito a sottrarre ambiti di applicazione alla shari'a, si è compiuto un processrc=skins/default/toolbar/italic.gifso di subordinazione del diritto musulmano al diritto di emanazione statale.
Persino in Arabia Saudita, tradizionalmente uno Stato conservatore, molto lentamente e rispettando la terminologia tradizionale islamica, sono penetrati strumenti giuridici occidentali come la legge sulle società commerciali. Il fondamentalismo si appella ad una più rigorosa applicazione del dettato sciaraitico in tutti gli ambiti giuridici e considera la shari'a l'unica via giuridica da percorrere.

5 KAFIR  (pl. kuffar o kafirun): Generalmente tradotto con il termine "miscredente" o "infedele" intende tutti coloro che non accettano o tacciano di falsità il messaggio della terza Rivelazione (dopo quella ebraica e quella cristiana), quella che "è stata fatta discendere" su Muhammad. Il diritto islamico distingue vari gradi di kuffarad ognuno dei quali corrisponde uno status giuridico e militare diverso.
I dimmiyyun sono i professanti le religioni rivelate (cristiani ed ebrei chiamati ahl al-Kitab, la "gente del libro") che, attraverso il patto di dimma ottengono ospitalità e protezione ad æternum nei paesi musulmani.
I mu'ahadun sono non musulmani in guerra con l'islam che hanno stipulato un patto ('ahd) di tregua per un determinato tempo. Gli harbiyyun sono non musulmani in guerra con l'islam con i quali non è stato stipulato nessun patto. I musta'minun sono harbiyyun che entrano nel dar al-islam con un contratto (aman) di protezione (per esempio oggi gli stranieri residenti nei paesi islamici o quelli che ottengono un visto d'ingresso).
I dimmiyyun, mu'ahadun e musta'minun non possono essere attaccati né uccisi. È lecito combattere e uccidere solo gli harbiyyun, sia coloro che combattono con le armi che quelli che lo fanno con il denaro, le idee e i sentimenti ma vanno assolutamente esclusi bambini, donne, anziani, malati, disabili, uomini pii e tutti coloro incapaci di combattere.

6 TAFKIR (dal verbo kaffara, tacciare di infedeltà): Oggi numerosi sono i gruppi fondamentalisti, nel mondo arabo, chiamati takfiriyya, che cioè utilizzano o attuano la pratica del takfir ai danni dei loro rivali od oppositori e per giustificare la propria lotta armata e la propria interpretazione dell'islam.

7. RIFORMISMO: Nel 1798 le truppe francesi di Napoleone sbarcarono sulle coste egiziane aprendo formalmente una nuova fase di rapporti tra mondo arabo-musulmano ed Europa. Ma già durante il XVIII secolo, le tecnologie e i modelli istituzionali elaborati nel Vecchio Continente erano cominciati ad approdare nelle regioni arabe e musulmane (parte di esse ancora sotto il dominio formale ottomano), avviando un movimento di rinascita culturale conosciuto come "riformismo" (al-islah).
Sin dalla prima metà dell'Ottocento, infatti, dal Maghreb all'India, si venne a formare una nuova classe di funzionari e di intellettuali profondamente attratti dalla cultura e dall'organizzazione delle società europee e intenzionati a proporre un ammodernamento, in senso occidentale, del proprio sistema amministrativo, istituzionale, scientifico e culturale.
Tra i più illustri, gli egiziani al-Gabarti (1753-1825) e al-Tahtawi (1801-1873), il tunisino Hayr al-Din (1822-1890) e l'indiano Wadi Allah (1703-1762).
Verso la fine del XIX secolo, il movimento intellettuale entrò in una fase più delicata: alcuni riformisti (islahiyyun) cominciarono a ricercare più a fondo le cause interne che, nei secoli, avevano determinato l'immobilismo scientifico e culturale del mondo arabo-musulmano. Il sapere - secondo l'analisi di questa seconda generazione di pensatori - era rimasto per troppo tempo appannaggio esclusivo delle università religiose e la sua trasmissione era diventata sempre più sterile e acritica. 
Senza rinnegare la propria tradizione araba, i riformisti più maturi riconobbero gli errori del passato e proposero nuove vie per vivificare l'enorme potenziale d'originalità e inventiva della cultura arabo-islamica. In generale, essi vedevano l'istituzione del califfato come un elemento religioso fondamentale che doveva servire da base per una nuova società musulmana. Fra tutti si ricordano il siriano al-Kawakibi (1850-1902), uno dei primi teorici del panarabismo, il libanese Sakib Arslan (1869-1939), il persiano e sciita al-Afgani (1838-1897), forte sostenitore del panislamismo, l'imam egiziano 'Abduh (1849-1905), vero e proprio teorico dell'età più matura del riformismo (P. Branca, p. 45), il siriano Riîà (1865-1935) fondatore del movimento della salafiyya, Ahmad Khan (1817-1889), d'origine perso-afghana, promotore di un vasto riavvicinamento culturale all'Occidente e, infine, l'algerino Ben Badis (1889-1940), definito l'"araldo del riformismo musulmano algerino e del nazionalismo algerino" (P. Branca, p. 147).

8 SALAFIYYA: Sempre più spesso connotato negativamente e inteso come sinonimo di "fondamentalismo", il termine salafiyya  si diffuse verso la fine del XIX secolo per indicare, in particolare, la scuola riformista sorta attorno alla figura dell'imam egiziano Muhammad 'Abduh (1849-1905) e del suo discepolo Rasid Ridà (1865-1935). Per correggere le contraddizioni e i malesseri che le società islamiche attualmente vivono - sosteneva 'Abduh - è necessario tornare alla purezza dell'islam originario, ben rappresentato dalle "prime pie generazioni dei musulmani", in arabo al-salaf.
Oggi numerosi gruppi e movimenti estremisti islamici si dicono "salafiti" e nel loro ritorno al passato aspirano alla fondazione di uno Stato islamico sul modello del califfato originario. In questo senso, però, salafiyya è un termine spesso abusato perché, come spiega lo studioso egiziano Muhammad 'Ammara, "esso non indica una corrente determinata nel pensiero islamico. Ogni movimento di rinnovamento e riforma nato nella nazione araba e nel mondo musulmano", continua 'Ammara, "è cominciato come salafiyya. (...) È necessario tornare alle fonti, ma se tale recupero si limita allo stretto riferimento ai testi, senza spirito razionale e critico, è un tipo di salafiyya che porta alla conservazione e alla stagnazione.
È invece davvero una via di rinnovamento", conclude 'Ammara, "se il ritorno alle fonti è condotto con mente illuminata cercando i punti fermi della tradizione per mediare tra essi e le esigenze di un mondo in continuo cambiamento".

9. WAHHABIYYA: Corrente rigorista sorta in seno all'islam alla fine del XVIII secolo e fondata da Muhammad b. 'Abd al-Wahhab, pensatore musulmano che operò nella Penisola Araba, in particolare nel Nagd. Il wahhabismo, che riprendeva alcune teorizzazioni dello Sayh Ibn Taymiyya, fu considerato eretico da larga parte dei musulmani perché contrario ad accettare le varie modificazioni dottrinali avvenute durante i secoli e convalidate dal consenso della comunità. Successivamente l'accusa di eresia venne lasciata cadere anche perché, col tempo, il movimento assunse posizioni meno intransigenti. Per diffondere la sua dottrina 'Abd al-Wahhab si avvalse della protezione di un amir locale, Muhammad b. Sa'ud, che controllava una piccola zona della regione e, a partire da quel momento, la storia del wahhabismo coincide con la storia della casa saudita, almeno sotto il profilo politico. Oggi non è solo la dottrina ufficiale del regno dell'Arabia Saudita, ma anche del vicino emirato del Qatar.

10  IBN TAYMIYYA: Taqi d-Din Abu l-'Abbas Ahmad b. Taymiyya (1263-1328) è oggi considerato uno dei pensatori islamici più influenti in materia di filosofia politica e interpretazione giuridica. Giurisperito di scuola hanbalita e di impostazione salafita (si veda la voce), si guadagnò astio e persecuzioni da molti dei governanti del mondo arabo del tempo, a causa della sua indipendenza ed originalità di giudizio. La sua dottrina si basava sulla supremazia del Corano, della Sunna e degli antichi (salaf) come fonti primarie del diritto e della vita sociale. Egli ne sosteneva una rigida ed austera interpretazione letterale. Rifiutando come innovazioni proibite pratiche popolari (culto dei santi, misticismo), teologia discorsiva e non dogmatica e filosofia classica occidentale (falsafa), promuoveva l'antropomorfismo coranico, la stretta vicinanza tra religione e Stato e, sorprendentemente, la facoltà di interpretazione del sapiente dei passi del Libro Sacro, di contro alla supina obbedienza ai giudizi stabiliti dalla tradizione storica, in modo che si potesse sempre giudicare e vivere conformemente ai dettami di Dio.
Se quest'ultima sua caratteristica gli ha conquistato nel tempo le simpatie di alcuni fra gli intellettuali progressisti contemporanei, è pur vero che, viceversa, il peso maggiore della sua impostazione si ritrova oggi a fondamento di molti gruppi radicali islamici e nei programmi dei loro ideologi. 
Innanzitutto, già il movimento wahhabita  è totalmente basato sulla dottrina di Ibn Taymiyya. Serve qui solo ricordare che Bin Laden è tra i più rigidi propugnatori di una società improntata all'esempio wahhabita (da lui sponsorizzato in Afghanistan all'epoca dei taliban).
Il fondatore del movimento dei Fratelli musulmani, Hasan al-Banna, con la sua enfasi sull'identità di Stato e religione rende credito a Taymiyya, come del resto fa in maniera anche più marcata Sayyid Qutb. Quest'ultimo, nella sua interpretazione così radicale e senza compromessi della jahiliyya, deve molto al pensatore medievale, da cui poi discende anche la netta condanna di tutti i governi moderni che non regolino le proprie istituzioni sull'esempio stretto della shar'ia. Tali governanti sarebbero suscettibili di essere legittimamente sostituiti o rovesciati, anche con la forza.
Addirittura il leader del gruppo egiziano al-Jihad (responsabile dell'assassinio del presidente Sadat), Muhammad 'Abd al-Salam Farag, nel suo scritto programmatico dal titolo al-farida al-ga'ifa (Il precetto assente), citò Taymiyya per giustificare l'atto di scomunica (takfir) (si veda la voce) che stava gettando sul capo di Sadat e di molti altri politici considerati kuffar (si veda la voce) come lui, sulla scorta della fatwà che Taymiyya stesso lanciò all'indirizzo del popolo mongolo, che allora occupava militarmente molta parte del mondo arabo (i mongoli erano infatti già islamizzati).

11. SAYYD QUTB: Sayyid Qutb Ibrahim Husayn as-Sadili (1906-1966) è una delle figure più importanti del radicalismo arabo del XX Secolo. La sua formazione avvenne in ambito pedagogico: laureatosi presso la Dar al-'Ulum del Cairo, entrò presto nella dirigenza del ministero dell'Educazione, per il quale fu incaricato di un viaggio conoscitivo negli Stati Uniti, nel 1948. Questa esperienza cambiò la sua vita. Rientrato in Egitto nel 1951, unitosi ai Fratelli musulmani, decise di dedicarsi alla pubblicistica militante, sulla scorta del disgusto maturato verso la cultura e i modelli di vita americani e occidentali in genere.
La perorazione della causa dell'islam quale unica via per una retta esistenza occupò e condizionò il resto della sua attività. Il centro del messaggio proposto da Qutb risiede nel considerare i dettami del Corano come atemporali e applicabili tout court ad ogni tipo di società umana, considerata cronologicamente e geograficamente.
Parallelamente, Qutb interpreta molto radicalmente il concetto di gahiliyya, letteralmente il periodo dell'"ignoranza" che precede l'islam e metaforicamente la condizione di chi è al di fuori dell'islam: al contrario di gran parte della tradizione, che considera la gahiliyya propria di chi non conosce ancora la verità dell'islam, Qutb allarga questa condizione a chi rifiuta il suo messaggio, a chi decide di vivere contrariamente ai dettami di Dio, non comprendendone l'imprescindibilità. Va da sé il maggiore grado di responsabilità di chi si trova in questa condizione.
L'Occidente, ovviamente, è in prima linea tra le realtà che si trovano nella gahiliyya più profonda. 
Se si considera, poi, che Qutb riteneva obbligatorio il jihåd nel senso di strumento per propagare la fede e in quello di istituzione del potere di Dio sulla Terra, proteggendo la giustizia insegnata attraverso la sua Rivelazione, si comprende come molti dei moderni gruppi islamici radicali abbiano visto in lui un modello (benché Qutb stesso non abbia mai propugnato i metodi del terrorismo per arrivare agli scopi che si prefiggeva). Gruppi come gli egiziani al-Fanniyya al-'Askariyya, al-Gama'a al-Takfir wa-l-Higra, al-Jihad, Gama'a al-Islamiyya; l'algerino Gabhat al-Inqad al-Islamiyya (Fis), il tunisino Hizb al-Nahda, il palestinese Hamas, i Fratelli musulmani in Sudan, Siria e Giordania per il mondo sunnita e l'Hizbullah in Libano, il partito Da'wa in Iraq e parte dell'establishment religioso iraniano, per il mondo sciita, non hanno mai fatto segreto dell'essersi ispirati direttamente agli insegnamenti di Qutb.
L'ideologo egiziano morì nel 1966, giustiziato dal governo del suo paese, ben prima quindi della nascita accertata di una corrente fondamentalista antioccidentale. Rendere Qutb responsabile di ciò che è accaduto nei decenni successivi sarebbe una forzatura antistorica.
Qutb è stato senz'altro un rivoluzionario, come molti altri, ma non un propugnatore o anche precursore del moderno fondamentalismo politico islamico.

12. MARTIRE (in ar. sahid plur. suhada): Dalla radice shin-ha'-dal, che veicola, tra gli altri significati, l'idea di "rendere testimonianza", "attestare", "essere testimone di qualcosa". Sahid è chi muore per la fede cadendo in combattimento contro non musulmani, ma anche contro un regime iniquo che contesta, oppure, com'è il caso delle occupazioni in Palestina e in Iraq, sotto le macerie della propria abitazione bombardata dagli occupanti.
Con istisadi (pl. istisadiyyun), infinito sostantivato ricavato da una forma verbale che può implicare l'idea di una richiesta, s'indica invece che il "martire" si offre coscientemente in sacrificio per la causa che ritiene sacrosanta: domanda, cerca il "martirio", "testimoniando" in questo modo la propria fede. È il caso delle amaliyyat istis adiyya attuate in Palestina, da tradursi alla lettera con "operazioni di martirio".
Appare perciò evidente l'analogia col concetto di "martire" espresso nella lingua italiana: "Chi affronta e subisce coscientemente la morte per la patria, per la propria fede politica, per un alto ideale"; sia l'arabo sahid che l'italiano "martire" esprimono quindi l'idea del "rendere testimonianza" (a Dio, nel caso specifico).

13. CALIFFATO (dall'ar. halifa successore): I giuristi musulmani hanno sempre avuto opinioni concordanti sulla necessità per la umma di avere un unico capo, successore del Profeta Muhammad, chiamato califfo per i sunniti e imam per gli sciiti. Secondo il giurista al-Mawardi due sono i modi in cui un califfo può essere scelto: per elezione da parte dell'ahl al-'Aqd wa l-hall (coloro che hanno capacità di legare e di sciogliere) vale a dire quei membri della umma capaci di riconoscere in un individuo l'esistenza dei requisiti adatti al califfato; oppure per designazione del successore da parte del predecessore; un terzo sistema, successivo a Mawadi, è l'occupazione del potere, in forza del principio tradizionale islamico che all'anarchia è preferibile la tirannia.
È bene notare come lo stesso Bin Laden si sia richiamato, in un suo discorso di pochi mesi fa, alla ricostituzione dell'ahl al-'Aqd wa l-hall che dovrebbe sostituirsi ai governi illegittimi attualmente al potere nei paesi islamici.
Per gli sciiti l'imam, al contrario del califfo, è infallibile e, tranne che dagli zayditi, viene considerato interprete della legge divina (il califfo invece non può interpretare la legge ma solo applicarla).
Per le correnti fondamentaliste i veri califfi sono solo i quattro Ben Guidati (al-hulafa' ar-rasidun) Abû Bakr, 'Umar, 'Utman e 'Ali, che rappresentano l'esempio islamico reale da imitare oggigiorno.

a cura di Andrea CHIOVENDA, Enrico GALOPPINI, Marco HAMAM e Lorenzo TROMBETTA



Links e Bibliografia:

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