La Ru486 «all’italiana» ha ucciso. Fermiamola

di Assuntina Morresi, Avvenire èVita, 29 novembre 2007
La "kill pill" colpisce ancora. Di Ru486 si continua a morire, sempre per la misteriosa infezione da batterio Clostridium Sordellii. Ce ne informa la rivista specializzata Obstetrics & Gynecology, dell’American College of Obstetricians and Gynecologists, nel numero 5 del mese di novembre. Stavolta è una ragazza di diciotto anni, che ha interrotto la sua gravidanza con 200 mg di mifepristone (la vera e propria Ru486, che uccide l’embrione in pancia) e, due giorni dopo, con 800 mcg di misoprostol, il farmaco che induce le contrazioni e causa l’espulsione dell’embrione.

La ragazza – di cui sappiamo solo che risiedeva negli Usa – ha cominciato a sentirsi male a cinque giorni dall’assunzione della Ru486: brividi, dolori addominali, nausea, vomito e vertigini. I soliti effetti collaterali, ma un po’ in ritardo. Il giorno dopo i sintomi si sono aggravati: la ragazza si è recata in clinica, dove le sono stati prescritti antibiotici, e poi è tornata a casa. Ancora un giorno, e con l’ulteriore peggioramento della situazione la donna è stata ricoverata al locale pronto soccorso, senza febbre, ma con bassa pressione e tachicardia, oltre ai sintomi già detti.
Altri accertamenti, di nuovo antibiotici, e poi un intervento chirurgico esplorativo che ha trovato due litri e mezzo di liquido peritoneale torbido e nessuna evidenza di gravidanza extrauterina. Ricoverata in terapia intensiva, i medici hanno cercato di rianimarla con liquidi per via endovenosa, continuando e rafforzando la somministrazione di antibiotici, presumendo oramai di trovarsi di fronte alla fatale infezione da Clostridium Sordellii. Ma tutto è stato vano: a sedici ore dal ricovero la ragazza è morta.

L’autopsia ha confermato la presenza nel tessuto uterino di Clostridium Sordellii, l’agente batterico responsabile della morte. Sedici finora quindi le donne morte dopo aborto farmacologico, di cui nove per infezione da Clostridium, e precisamente: due da Clostridium Perfringes, una da Clostridium non meglio specificato, e sei per Clostridium Sordellii. Ma quest’ultimo decesso ha un elemento di novità: il secondo dei due farmaci, il misoprostol, è stato somministrato per via orale e non vaginale.
Viene quindi a cadere una delle ipotesi formulate riguardo le cause dell’infezione mortale, secondo cui era la modalità vaginale di somministrazione del misoprostol a favorire questo tipo di infezioni. Le donne morte per sepsi, finora, avevano tutte seguito questa via, più efficace e con meno effetti collaterali rispetto all’assunzione per via orale, che però è l’unica approvata dalla Fda, l’agenzia di controllo farmacologico americana, e anche dall’Emea, l’analoga europea, ed è anche la modalità di assunzione adottata sinora negli ospedali italiani che hanno importato la Ru486 direttamente dalla Francia.

L’articolo in cui si dà conto dell’ennesima morte per sepsi è firmato da esperti del Centers for Desease Control and Prevention (Cdc) di Atlanta e di altre prestigiose istituzioni americane dell’ambito sanitario. Gli autori spiegano che, dopo i cinque precedenti casi di morte da Clostridium Sordellii a seguito di aborto con la Ru486 registrati nel Nord America la Fda e il Cdc hanno iniziato un’indagine internazionale, chiedendo a varie istituzioni sanitarie e di ricerca degli Usa, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, alla International Planned Parenthood Federation – la maggiore ong con cliniche per aborti e contraccezione – e a organizzazioni sanitarie pubbliche di Cina, Finlandia, Francia, Svezia e Gran Bretagna di segnalare casi di infezioni severe o di morti associate con aborto indotto da mifepristone o misoprostol. «Non sono stati identificati casi al di fuori degli Usa», spiegano gli autori, ma non è chiaro se non è stato segnalato alcun tipo di decesso oppure se proprio non c’è stata risposta. Non si capisce cioè se i governi e gli organismi interpellati non abbiano considerato importante la questione, o se abbiano addirittura mentito. Sulle morti da aborto chimico c’è una incredibile carenza di informazioni: solo gli Stati Uniti hanno sempre mostrato trasparenza, nelle istituzioni coinvolte ma soprattutto nei media. E infatti finché la notizia non arriva nelle redazioni dei giornali americani non riusciamo a sapere neppure i nomi delle donne morte, delle quali evidentemente non importa niente a nessuno.

Delle sedici donne morte da aborto chimico almeno tre provengono dalla Gran Bretagna: di loro si è avuto notizia solo da interrogazioni parlamentari, non riportate dalla stampa, e ancora non si è riusciti a capire se la morte di una cittadina britannica segnalata all’Fda è un quarto caso o va compresa fra le tre di cui sopra. Sappiamo che una donna è morta a Taiwan per porpora trombotica, dopo la somministrazione di solo mifepristone, e sappiamo che una donna cubana è morta di Clostridium – non meglio specificato – solamente dopo misoprostol. Di quest’ultima si è saputo al congresso Fiapac (Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione) dell’ottobre 2006 a Roma, quello a cui hanno portato calorosi saluti il ministro Emma Bonino e Maura Cossutta, consulente del ministro Turco. Si è saputo per modo di dire: stiamo ancora aspettando che la Fiapac ci dica il nome della donna cubana morta, e da quale tipo di Clostridium è stata infettata. Il caso è stato riferito da un medico che partecipava ai lavori, ma gli organizzatori non hanno mai dato notizia pubblica del fatto.

Abbiamo letto poi nella letteratura specializzata di una grave e anomala infezione di una donna thailandese, tuttora inspiegata. Possiamo facilmente ipotizzare una situazione cinese di una certa gravità, visto che dal 2001 è stata bloccata la vendita della Ru486 in farmacia e le donne possono abortire farmacologicamente solo con ricovero in cliniche specializzate e autorizzate. Per l’India sappiamo invece che nello Stato del Rajastan (poco più di 50 milioni di abitanti) nel 2004 tal dottor Kabra ha vinto una causa presso la Commissione diritti umani chiedendo che l’aborto medico si potesse effettuare solo in strutture sanitarie attrezzate, visto il numero delle donne morte dissanguate soprattutto nelle aree rurali. Come mai l’Organizzazione mondiale della sanità non ha segnalato niente? E perché il recente articolo sulla Ru486 del bollettino Aifa non risulta aggiornato neppure sul numero delle morti?