
Per comprendere nella sua genesi e sviluppo il conflitto che interessa la Siria e le regioni limitrofe non possiamo fare a meno di tenere in considerazione la storia recente di questa parte del Medio Oriente. Per fare un quadro storico della situazione ci serviremo dell’analisi di Roberto Rapaccini apparsa su Studi Cattolici. Si può leggere il testo originale facendo clic qui.
Le origini del conflitto
Il conflitto siriano vede la sua genesi e i suoi sviluppi in una zona particolarmente instabile a causa dell'origine storica degli Stati che ne fanno parte, nati in seguito a una ripartizione a tavolino dei territori ad opera delle potenze coloniali dell'epoca. In particolare la Siria fu creata come compromesso politico tra la Francia e il Regno Unito. Il Paese raggiunse la sua indipendenza nel 1946, ma territorialmente non aveva gli stessi connotati che aveva come regione ai tempi dell’Impero Ottomano: infatti gli furono assegnate zone che prima facevano parte della regione irachena, mentre altre divennero parte della Giordania e del Libano.
Tra l’indipendenza e il 1970 passarono decenni di instabilità, alla fine dei quali salì al potere Hafiz Al Assad. Quest’ultimo ha governato in maniera autoritaria, seppure con consenso, fino al 2000, anno nel quale gli successe il figlio Bashar.
C’è da notare che la Siria è un paese a maggioranza sunnita e che gli Assad invece appartengono alla minoranza sciita-alauita a cui appartiene appena il 20% della popolazione siriana. Per ciò il governo ha un rapporto privilegiato con l’Iran, unico paese a maggioranza sciita del Medio Oriente che per questo motivo subisce un certo isolamento all’interno del mondo islamico. Questa amicizia permette all’Iran di essere presente e attivo nell’area mediterranea mediorientale.
Oltre che di quella con l’Iran, la Siria gode anche di un’altra alleanza, quella con i libanesi di Hezbollah, movimento sciita nato nel 1982 come milizia armata per contrastare l’invasione israeliana del Libano che pur essendo strutturato come un partito politico, è dotato di un’ala militare.
Il 2011 ha visto la Siria teatro di alcune manifestazioni che reclamavano condizioni di vita più eque alle quali il regime di Bashar Al Assad ha reagito in maniera violenta, arrivando anche ad aprire il fuoco sui manifestanti. Questo ha fatto estendere le proteste a tutto il Paese e trasformato i manifestanti in ribelli armati. La protesta antigovernativa è presto degenerata in una sanguinosa guerra civile che fino a oggi ha mietuto più di 250.000 vittime e provocato l’esodo di milioni di profughi. Inoltre i primi a subire il peso di questa crisi umanitaria sono i limitrofi Libano, Giordania e Turchia.
In poco tempo, poi, il conflitto si è trasformato in uno scontro politico-religioso tra sunniti e sciiti estendendo il coinvolgimento a gruppi jihadisti, dello Stato Islamico, di Stati vicini e di alcune potenze mondiali.
Sin dalla sua genesi e poi nei suoi sviluppi durante il conflitto siriano sono stati commessi da entrambe le parti crimini di guerra (tra cui l’uso di armi chimiche), anche ai danni di civili, mentre l’espansione dello Stato Islamico ha seminato il terrore nell’Est della Siria con esecuzioni, uccisioni di massa e violenza generalizzata.
Le forze in campo
Per quanto riguarda le forze in campo, il governo siriano conta sulle proprie forze armate e sulla Forza Nazionale di Difesa, componente armata composta da minoranze religiose. L’Esercito Siriano Libero, principale forza di opposizione al regime di Assad, è integrato da formazioni di ispirazione islamista, come il Fronte Al Nusra, emanazione siriana di Al Qaeda, e il Fronte Islamico, coalizione di sette gruppi ispirati dall’ideologia salafita e finanziati dall’Arabia Saudita, oltre a ricevere supporto militare e finanziario dal Qatar. Sono impegnate nel conflitto siriano anche milizie curde che per difendere le loro comunità nel Nord della Siria combattono sia i ribelli che il governo di Assad e contemporaneamente contro l’ISIS. Sono coinvolti inoltre anche altri Stati: esiste infatti una coalizione di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e principali Stati sunniti che appoggia apertamente i ribelli, mentre il governo di Damasco può contare sul sostegno politico, economico e finanziario della Russia e dell’Iran oltre che dei sopra citati Hezbollah.
Quella che è poco chiara da definire è la situazione degli Stati occidentali che si trovano a combattere contemporaneamente il regime di Assad e l’ISIS che gli è nemico. Ci si chiede infatti se sia possibile insediare in Siria un regime, contrario ad Assad, ma allo stesso tempo che combatta lo jihadismo sunnita e l’ISIS.
I veti dell’ONU
Nel frattempo in sede del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la discussione è paralizzata dal frequente esercizio del diritto veto, soprattutto da parte della Russia che si oppone ad ogni proposta di provvedimento che penalizzi il regime di Bashar Al Assad. Oltretutto attraverso il veto russo traspare la volontà di contrastare l’influenza americana e occidentale in un’area caratterizzata da forti interessi commerciali da parte della Russia e che in caso di sconfitta del dittatore siriano sarebbero compromessi.
Verso una soluzione del conflitto?
Nonostante tutto, fa ben sperare un accordo preso, grazie a un approccio più costruttivo e neutrale, il 18 dicembre del 2015: si tratta di una risoluzione che richiede un cessate il fuoco su tutto il territorio siriano e promuove negoziati di pace sin da gennaio 2016. Il Consiglio di Sicurezza, infatti, ritiene che la sola soluzione possibile del conflitto siriano sia costituita da un processo politico guidato dai siriani stessi e che risponda alle aspirazioni del popolo siriano. Per questo è nato il Gruppo di sostegno internazionale per la Siria, formato da 17 Paesi e tre organizzazioni multilaterali che, insieme all’ONU, si impegneranno perché siano adottate tutte le iniziative necessarie per riunire i rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione, e per intraprendere con urgenza dei negoziati formali. L’insediamento di un governo di transizione credibile dovrebbe quindi in breve convocare libere elezioni alle quali dovrebbero partecipare tutti i siriani, compresi quelli della «diaspora». Riuscire a comporre il conflitto tramite la mediazione dell’ONU porterebbe con sé un altro risvolto importante, ovvero quello di far riacquistare alle Nazioni Unite la pienezza del suo ruolo.
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