il Foglio, 20 febbraio 2008
Roma. "Ero sola in casa quando, all'improvviso, ho cominciato ad avere un'emorragia. Non sapevo comportarmi e ho dovuto chiamare un'amica prima di precipitarmi in ospedale". È una delle testimonianze rese alla procura di Torino da una delle trentotto donne citate come "persone offese" nell'inchiesta sulla sperimentazione della pillola Ru486 all'Ospedale Sant'Anna. Non c'è male, per un sistema "meno invasivo" e "più confortevole" di abortire. Tanto confortevole che il ginecologo Silvio Viale - ha raccontato un'altra donna - consigliava, dopo l'assunzione della prima pillola di mifepristone (alla quale, dopo tre giorni, fa seguito quella di prostaglandine), di continuare le solite attività. Una ballerina di tango si è fidata: "Avevo uno spettacolo e mi sono sentita dire che non ci sarebbero stati problemi. Però, qualche ora dopo l'esibizione, ho abortito a casa".
Violazione della legge 194
Il probabile rinvio a giudizio del ginecologo Silvio Viale e di altri tre medici dell'Ospedale Sant'Anna di Torino, con l'accusa di aver violato il protocollo di sperimentazione della pillola abortiva Ru486, dà ragione a chi da tempo denuncia la palese incompatibilità dell'aborto chimico a domicilio con la legge 194. La quale prescrive chiaramente che l'aborto debba avvenire all'interno delle strutture ospedaliere. Ma con la Ru486 non è così, perché non c'è alcuna certezza: l'aborto può avvenire nel giro di settimane o di un giorno, e nel frattempo le donne vengono dimesse e mandate a casa tra la prima somministrazione di mifepristone, che provoca la morte del feto, e la seconda somministrazione di misoprostol, la prostaglandina che provoca l'espulsione. Questa fase, con la Ru486, può durare giorni. Giorni di vomito, diarrea, contrazioni protratte e dolorose, emorragie: un aborto infinito consumato in una pseudoprivacy che è in realtà una pericolosissima solitudine. Il pericolo è vero.
Problemi provocati dalla pillola abortiva
Nei paesi dove la Exelgyn commercializza la sua kill pill, le donne che la usano devono firmare una liberatoria nella quale affermano di vivere a poca distanza da un ospedale e di poter sempre contare su qualcuno in casa che le aiuti, se qualcosa dovesse andare storto. E non è raro che qualcosa vada storto. Lo testimonia l'impressionante mole di effetti avversi repertoriati nel corso del tempo dagli Annali di farmacologia statunitensi, lo provano i racconti delle pazienti del Sant'Anna, e soprattutto lo provano le sedici morti fino a oggi accertate attribuibili alla Ru486. Della sperimentazione torinese, sappiamo anche che il tasso di fallimenti dell'aborto, con la necessità di reintervenire chirurgicamente, è stato un altissimo nove per cento.
Una pillola non basta
Quello di tipo giudiziario non è l'unico inciampo sulla via dell'adozione della Ru486 in Italia, minacciata per la primavera. C'è ancora da chiarire (ma in realtà è chiarissima) una questione evidenziata da Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella, autrici de "La favola dell'aborto facile" (Franco Angeli): "Con la Ru486, in realtà, non si riesce quasi mai ad abortire. Il mifepristone da solo non è sufficiente, e le percentuali di abortività dopo l'assunzione della sola Ru486 sono sempre troppo basse per essere competitive con i metodi abortivi tradizionali. Ecco perché i diversi protocolli autorizzati prevedono tutti, come secondo farmaco, una prostaglandina in dosi tali da produrre le contrazioni uterine che inducono l'espulsione". La più usata è il misoprostol, commercializzato con il nome di Cytotec.
Il farmaco antiulcera usato per abortire, contro il consiglio di chi lo produce
Ma si dà il caso che "il Cytotec sia un farmaco orale per la prevenzione dell'ulcera gastrica, prodotto dalla casa farmaceutica Searle, che mai lo ha registrato come prodotto abortivo, in nessun paese del mondo. Anzi, la sua direzione scientifica ne ha sconsigliato pubblicamente l'uso come tale, spiegando che non ne garantisce la sicurezza perché non ha mai svolto studi sugli effetti del farmaco sull'utero". Lo ha fatto però la Food and Drug Administration, l'ente americano di farmacovigilanza, che sul suo sito spiega che fra gli effetti dell'iperstimolazione dell'utero da misoprostol, oltre che emorragie e stati di shock, c'è anche la morte materna. Ecco perché la Searle, spiegano ancora Morresi e Roccella, "ha deciso di non registrare il farmaco come abortivo. Il risultato è che l'autorizzazione alla commercializzazione della Ru486 ha sempre comportato un uso non autorizzato ('off label') del Cytotec, vale a dire fuori dalle indicazioni previste. Ora l'Aifa, l'ente di farmacovigilanza italiano, ha al vaglio il dossier sulla Ru486 fornito dalla Francia. Sarà interessante capire come possa dare il nulla osta a un protocollo in cui un farmaco, autorizzato dalla stessa Aifa solo come antiulcera, è usato come prodotto abortivo contro le stesse indicazioni della casa farmaceutica che lo produce".
Violazione della legge 194
Il probabile rinvio a giudizio del ginecologo Silvio Viale e di altri tre medici dell'Ospedale Sant'Anna di Torino, con l'accusa di aver violato il protocollo di sperimentazione della pillola abortiva Ru486, dà ragione a chi da tempo denuncia la palese incompatibilità dell'aborto chimico a domicilio con la legge 194. La quale prescrive chiaramente che l'aborto debba avvenire all'interno delle strutture ospedaliere. Ma con la Ru486 non è così, perché non c'è alcuna certezza: l'aborto può avvenire nel giro di settimane o di un giorno, e nel frattempo le donne vengono dimesse e mandate a casa tra la prima somministrazione di mifepristone, che provoca la morte del feto, e la seconda somministrazione di misoprostol, la prostaglandina che provoca l'espulsione. Questa fase, con la Ru486, può durare giorni. Giorni di vomito, diarrea, contrazioni protratte e dolorose, emorragie: un aborto infinito consumato in una pseudoprivacy che è in realtà una pericolosissima solitudine. Il pericolo è vero.
Problemi provocati dalla pillola abortiva
Nei paesi dove la Exelgyn commercializza la sua kill pill, le donne che la usano devono firmare una liberatoria nella quale affermano di vivere a poca distanza da un ospedale e di poter sempre contare su qualcuno in casa che le aiuti, se qualcosa dovesse andare storto. E non è raro che qualcosa vada storto. Lo testimonia l'impressionante mole di effetti avversi repertoriati nel corso del tempo dagli Annali di farmacologia statunitensi, lo provano i racconti delle pazienti del Sant'Anna, e soprattutto lo provano le sedici morti fino a oggi accertate attribuibili alla Ru486. Della sperimentazione torinese, sappiamo anche che il tasso di fallimenti dell'aborto, con la necessità di reintervenire chirurgicamente, è stato un altissimo nove per cento.
Una pillola non basta
Quello di tipo giudiziario non è l'unico inciampo sulla via dell'adozione della Ru486 in Italia, minacciata per la primavera. C'è ancora da chiarire (ma in realtà è chiarissima) una questione evidenziata da Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella, autrici de "La favola dell'aborto facile" (Franco Angeli): "Con la Ru486, in realtà, non si riesce quasi mai ad abortire. Il mifepristone da solo non è sufficiente, e le percentuali di abortività dopo l'assunzione della sola Ru486 sono sempre troppo basse per essere competitive con i metodi abortivi tradizionali. Ecco perché i diversi protocolli autorizzati prevedono tutti, come secondo farmaco, una prostaglandina in dosi tali da produrre le contrazioni uterine che inducono l'espulsione". La più usata è il misoprostol, commercializzato con il nome di Cytotec.
Il farmaco antiulcera usato per abortire, contro il consiglio di chi lo produce
Ma si dà il caso che "il Cytotec sia un farmaco orale per la prevenzione dell'ulcera gastrica, prodotto dalla casa farmaceutica Searle, che mai lo ha registrato come prodotto abortivo, in nessun paese del mondo. Anzi, la sua direzione scientifica ne ha sconsigliato pubblicamente l'uso come tale, spiegando che non ne garantisce la sicurezza perché non ha mai svolto studi sugli effetti del farmaco sull'utero". Lo ha fatto però la Food and Drug Administration, l'ente americano di farmacovigilanza, che sul suo sito spiega che fra gli effetti dell'iperstimolazione dell'utero da misoprostol, oltre che emorragie e stati di shock, c'è anche la morte materna. Ecco perché la Searle, spiegano ancora Morresi e Roccella, "ha deciso di non registrare il farmaco come abortivo. Il risultato è che l'autorizzazione alla commercializzazione della Ru486 ha sempre comportato un uso non autorizzato ('off label') del Cytotec, vale a dire fuori dalle indicazioni previste. Ora l'Aifa, l'ente di farmacovigilanza italiano, ha al vaglio il dossier sulla Ru486 fornito dalla Francia. Sarà interessante capire come possa dare il nulla osta a un protocollo in cui un farmaco, autorizzato dalla stessa Aifa solo come antiulcera, è usato come prodotto abortivo contro le stesse indicazioni della casa farmaceutica che lo produce".