di Giacomo Samek Lodovici, «il Timone», n. 78-79 (2008)
Spesso riteniamo erroneamente che la fede sia un sentimento e che la fede e la ragione siano due distinte facoltà dell’uomo.
1) Atto di fede
Tuttavia, non solo l’atto di ragionamento filosofico, ma anche l’atto di fede, sono due atti attraverso cui la ragione umana fa sua una conoscenza.
Sembra strano che anche l’atto di fede sia un atto della ragione, ma, a ben vedere, è proprio così. Infatti, dire «io credo a ciò che tu mi dici», significa dire «io considero vero ciò che tu mi dici». Ora, è la ragione che considera vera una cosa, un’affermazione, ecc.
Cioè io compio un atto di fede quando la mia ragione, in sinergia con la volontà, considera vera (dà il suo assenso) una cosa, un’affermazione, che qualcuno mi ha detto: un amico, un libro, un giornale, ecc.
Così, c’è un atto della ragione credente e un atto della ragione filosofante.
Compio un atto filosofico quando con la mia ragione acquisisco direttamente una conoscenza senza ricorrere a qualcun altro. Compio invece un atto di fede quando con la mia ragione acquisisco indirettamente una conoscenza (su Dio, ma anche su qualsiasi altra cosa) e la ritengo vera, quando conosco e ritengo vera un’affermazione affidandomi a qualcun altro che la pronuncia.
L’atto filosofico è analogo al vedere da soli, in quanto il vedere è un conoscere con i propri occhi. L’atto di fede è analogo ad ascoltare qualcuno, in quanto l’udire è un conoscere non con i propri occhi, bensì tramite gli occhi di un altro, il quale è considerato: 1) credibile (= sincero); 2) a conoscenza dei fatti che riferisce.
L’atto di fede in Dio è un atto della ragione che ritiene vera l’esistenza di Dio e ritiene vero ciò che Dio dice nella Bibbia.
Ora, la ragione umana, di solito, sopratutto da bambini, ritiene vera l’esistenza di Dio perché crede ad altri (genitori, amici, ecc.) che gli dicono che Dio esiste. Si tratta di un atto della ragione che può poi avere come riscontro una serie di sentimenti (a seconda dei casi) di gioia, pace, timore, slancio, ecc., ma che nella sua essenza non coincide con questi sentimenti.
Ma l’esistenza di Dio può essere conosciuta sia con un atto della ragione credente, sia con un ragionamento della ragione filosofante, cioè mediante le prove filosofiche dell’esistenza di Dio (una trattazione divulgativa in G. Samek Lodovici, L’esistenza di Dio, Quaderni del Timone, Edizioni Art 2004, pp. 15-19). C’è poi il caso speciale e raro di chi riceve una rivelazione particolare da Dio stesso (per es. san Paolo).
Così, c’è chi conosce-crede che Dio esiste e c’è chi invece conosce-con-la-filosofia che Dio esiste. E il filosofo può conoscere mediante la filosofia alcune cose (per esempio l’esistenza di Dio), e conoscerne altre mediante la fede (per esempio la Trinità).
2) Contenuto dell’atto di fede
Ancora, col termine fede a volte si designa l’atto di fede (fides qua creditur), che è ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora, a volte il contenuto dell’atto di fede (fides quae creditur), cioè l’insieme delle verità insegnate dalla Rivelazione che vengono appunto credute vere dal credente.
3) Critica del fideismo
Sennonché i fideisti (riprendo adesso, con diverse aggiunte, alcune riflessioni già esposte nel mio già citato Quaderno, pp. 15-19) sono coloro che negano che la filosofia possa recare aiuto alla fede ed affermano che Dio non è dimostrabile con la filosofia.
3.1. Critiche della Bibbia al fideismo
Ora, si può rispondere che anche il fideista cristiano dà il suo assenso alla Bibbia. Ebbene, già la Sacra Scrittura afferma che è possibile arrivare a conoscere Dio grazie ad un ragionamento che parte dal mondo ed arriva a Dio stesso. Vediamo due passi.
Libro della Sapienza (13, 1-9): «davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere […]. Difatti dalla grandezza e dalla bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore».
Lettera ai romani (1, 19-21): «ciò che di Dio si può conoscere è loro [agli uomini] manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute».
Insomma, la stessa Sacra Scrittura smentisce la posizione di chi ritiene che si possa conoscere Dio solo con la fede.
E c’è un passo, molto chiaro, nella Prima Lettera di Pietro (3, 15), che esprime non soltanto la possibilità, ma addirittura l’esortazione ai credenti ad intraprendere una ricerca razionale in difesa della fede: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».
3.2. Critiche del Magistero al fideismo
Se poi i credenti fideisti riconoscono l’autorità del Magistero, si può aggiungere che, proprio ancorandosi alla Sacra Scrittura, la stessa Chiesa si è pronunciata varie volte (anche solennemente) sulla possibilità di giungere razionalmente all’esistenza di Dio.
Per esempio, nella Dei Filius (DS 3004; DS 3026): «la Santa madre Chiesa tiene e insegna che Dio, principio di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale della ragione umana attraverso le cose create». Oppure nella Dei Verbum (n. 6): «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale dell’umana ragione dalle cose create». E la Fides et ratio, enciclica di Giovanni Paolo II (§ 24, 36 e 53) afferma la «capacità della ragione di innalzarsi al di sopra del contingente per spaziare verso l’infinito». Leggiamo anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 31 e 286): «l’uomo che cerca Dio scopre alcune […] “prove dell’esistenza di Dio”, non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di “argomenti convergenti e convincenti” che permettono di raggiungere vere certezze»; «Indubbiamente […] è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana». Per questo Giovanni Paolo II si rammaricava (Fides et ratio, § 55) dei «pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l'importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio. Un’espressione oggi diffusa di tale tendenza fideistica è il biblicismo, che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura e della sua esegesi l'unico punto di riferimento veritativo». Infine, tra i tanti interventi di Benedetto XVI, ne riferiamo uno solo: il «vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale» (Discorso di Ratisbona).
3.3. Critiche filosofiche al fideismo
A questi argomenti si possono aggiungere anche alcune motivazioni di tipo filosofico.
3.3.1. Dio ci ha creati con una ragione capace di filosofare, e la filosofia è la ricerca inesauribile della verità (cfr. il dossier del Timone sulla filosofia, marzo 2008): è mai possibile che non possiamo esercitarla neanche minimamente per conoscere la verità su di Lui che ci ha creato?
3.3.2. L’atto di fede in Dio dev’essere una libera scelta, altrimenti non sarebbe un atto umano, ma solo un automatismo, una costrizione. Ora come può essere libero se non presuppone la ragione? Come possiamo scegliere qualcosa che non cogliamo con la ragione neanche in minima parte? Per accettare Dio con un atto di fede, dobbiamo, almeno in parte, capire con la ragione filosofica di che cosa si tratti.
Obiezione: se Dio è dimostrabile con la filosofia l’uomo non è più libero di aderire/non aderire a Dio.
Risposta: l’uomo resta libero, perché con la sua volontà può decidere di negare il suo assenso a ciò che vede con la ragione, resta libero di non credere persino al cospetto di un miracolo, come fecero i farisei al tempo di Gesù.
3.3.3. Le fedi religiose sono molte e differenti. Dunque per individuare quella vera bisogna disporre di uno strumento (diverso dalla fede stessa) per giudicare ciò che esse affermano: lo strumento per capire se la nostra fede e i sentimenti interiori che proviamo non sono solo un’autosuggestione non può essere che la ragione filosofica.
Ora, è vero che il Dio dei filosofi non è Padre, Figlio e Spirito Santo, non è un Dio con cui si possa intrattenere lo stesso rapporto personale e amoroso che caratterizza la fede religiosa, non è (per citare Pascal) il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù Cristo.
Però, nello stesso tempo, la filosofia può conoscere non solo la sua esistenza, ma anche alcune sue caratteristiche [cfr. Il Timone, 66 (2007), pp. 32-33], come, per esempio, che è Persona, Onnipotente, Eterno, Infinito, Perfetto, Somma Bellezza, Somma Verità, Somma Bontà, Sommo Amore, ecc. Perciò il Dio dei filosofi non è inconciliabile con il Dio della fede cristiana, anzi aiuta a comprenderlo e ad esercitare l’atto di fede.
Infatti, la ragione non elimina la fede, bensì la rafforza e la chiarifica aumentandone la comprensione: dunque la fede e la filosofia non si oppongono, bensì realizzano una solidarietà reciproca ed una cooperazione benefica, che reca vantaggio ad entrambe.
4) Primo contributo della filosofia alla fede
Abbiamo ricordato un mese fa l’esortazione della Lettera di Pietro a «rendere ragione», cioè a dimostrare ed a difendere, per quanto possibile, la fede. Ebbene, le prove filosofiche dell’esistenza di Dio possono essere proposte anche a colui che non condivide la fede nella Rivelazione, sollecitando in lui l’esercizio di ciò che, invece, ogni uomo possiede, cioè, appunto, la ragione capace di filosofare.
Così, siccome ogni credente ha il dovere, per quanto possibile, di portare la fede in tutto il mondo («andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura», Mc, 16, 15-16), dimostrare filosoficamente l’esistenza di Dio ed alcuni aspetti della sua natura è importantissimo, perché la fede è un dono individuale (anche se bisogna che ognuno cooperi per riceverla e coltivarla), mentre la ragione filosofica è una dotazione comune a tutti gli uomini: attraverso la filosofia, pertanto, chiunque, anche se non avesse ricevuto il dono della fede, può pervenire all’affermazione dell’esistenza di Dio.
S. Paolo, all’Areòpago di Atene, spiega appunto che il Dio cristiano è conciliabile con quello della filosofia stoica (Atti, 17, 22-34). È vero che molti ateniesi si scandalizzano e lo mandano via, ma non per il ragionamento che fa, bensì quando menziona un aspetto della Rivelazione cristiana che è indimostrabile per la filosofia, cioè la resurrezione (soprattutto la resurrezione della carne): un concetto (per vari motivi) inconcepibile per i Greci; d’altra parte, dopo questo suo ragionamento alcuni si convertono: «alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro» (ibidem).
Edith Stein, che arrivò alla conversione anche attraverso una formazione filosofica, dice: «il compito più elevato di una filosofia cristiana è quello di preparare la strada che porta alla fede: appunto per questo stette a cuore a san Tommaso di edificare una filosofia pura sui fondamenti della ragione naturale; solo così si può percorrere un tratto di strada insieme ai non credenti».
Insomma, gli uomini diventano cristiani:
1. a volte perché ricevono la fede da qualcuno che essi amano;
2. a volte perché vengono convinti da dei ragionamenti;
3. a volte per tutti e due questi motivi insieme;
4. a volte per una Rivelazione diretta di Dio
Per esempio, S. Agostino si è convertito anche grazie alla lettura dei libri dei neoplatonici; abbiamo già detto di Edith Stein; Janne Haaland Matlary (autrice del libro Una scelta d’amore, Leonardo Mondadori Editore, 2004, prefazione di J. Ratzinger), già Viceministro degli Esteri della Norvegia ed ex agnostica (in certi momenti atea), si è convertita grazie alla filosofia: «Si è trattato di una conversione intellettuale. Durante i miei studi di filosofia mi stavo dedicando all'indagine sulla realtà oggettiva e mi sono imbattuta in Aristotele e San Tommaso d'Aquino. Nel momento in cui ho scoperto il realismo ontologico, ho pure trovato la Chiesa. La fede, naturalmente, è molto più di una semplice posizione filosofica, ma posso dire che senza una presa di posizione simile essa non ha granché senso» (www.magdiallam.it/node/6383); Magdi Allam ha raccontato varie volte che il discorso fatto da Benedetto XVI a Ratisbona sul contributo della filosofia alla fede, nonché la corrispondenza tra Rivelazione e ragione (filosofica), sono stati fondamentali nella sua conversione al cristianesimo.
Io stesso conosco delle persone che sono diventate cristiane attraverso la filosofia (due di esse attraverso il già citato G. Samek Lodovici, L’esistenza di Dio).
Del resto, Gesù convertiva le persone amandole e facendo miracoli, ma anche facendo ragionamenti, sia pur semplici (o anche difficili, come nel vangelo di Giovanni).
E, anche per quanto riguarda i miracoli, la gente credeva a Gesù dopo che egli aveva fatto un miracolo, attraverso la mediazione di un ragionamento (talmente spontaneo da non rendersi conto di farlo): quello che applica il principio di causalità al miracolo e risale dall’effetto (il miracolo) alla causa (Dio). Il ragionamento è il seguente: questo è un miracolo; per compiere miracoli bisogna essere Dio (o essere strumento attraverso cui Dio agisce); dunque Gesù è Dio.
5) Secondo contributo della filosofia alla fede
Inoltre, la ricerca filosofica può portare soccorso anche a chi è già credente, giacché anche i più grandi santi (per esempio s. Giovanni della Croce e Madre Teresa di Calcutta) hanno vissuto periodi di aridità spirituale interiore e di incertezza. In simili momenti, la filosofia può sostenere la fede e corroborarla, può contribuire a superare i dubbi, a vincere le incertezze, a perseverare, ecc.
In generale, è vero che è la mozione dello Spirito che porta all'atto di fede; ma questa mozione presuppone che si compia un atto della ragione, che giudica che il contenuto del messaggio cristiano è vero. Altrimenti non potremmo credere, perché nessuno vuole fondare la sua vita sull’errore. È un atto spesso spontaneo, che non ci rendiamo conto di compiere.
E, precisamente a proposito del valore della filosofia, così si esprime Giovanni Paolo II: «La filosofia contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della vita e ad abbozzarne la risposta: essa pertanto, si configura come uno dei compiti più nobili dell’umanità» (Fides et ratio, § 3).
Dunque, considerati questi due contributi della filosofia alla fede, è molto importante accedere a Dio con la filosofia. Sarebbe insensato rinunciare a farlo solo perché la conoscenza di Dio che si guadagna è inferiore a quella che si ottiene dalla Rivelazione: sarebbe come rinunciare ad un tesoro solo perché è meno prezioso di un altro.
6) Contributi della fede alla filosofia
Vediamo adesso gli apporti della fede alla ricerca filosofica.
6.1. La Rivelazione valorizza la ragione: dunque, nella nostra epoca, l’indebolimento della fede determina l’indebolimento della ragione, perciò oggigiorno dominano il pensiero debole ed il relativismo, cioè domina la sfiducia nella ragione. La Rivelazione valorizza la ragione:
6.1.1. perché dice che Dio è Ragione-Logos (e Amore), dunque la nostra ragione è un aspetto dell’immagine di Dio in noi;
6.1.2. perché dice che la ragione (come tutte le cose) è creata da Dio, dunque è buona;
6.1.3. perché dice che abbiamo il dovere di far fruttificare tutti i doni che abbiamo ricevuto (cfr. la parabola dei talenti).
Anche i Greci hanno valorizzato la ragione, ma solo tra i colti; inoltre nessuno di loro ha fornito la motivazione 6.1.2., le altre due motivazioni sono state da essi sviluppate di meno (per es. la 6.1.1. da Aristotele).
6.2. La Rivelazione anticipa dei temi che la filosofia può conseguire da sola (temi come, per es., la creazione e la gratuità dell’amore).
6.3. La Rivelazione è una bussola che consente alla filosofia di orientarsi, quando la filosofia ha sbagliato o corre il rischio di sbagliare. Infatti, quando la filosofia dice qualcosa che va in contrasto con la Rivelazione, ci sono due possibilità:
6.3.1. la Rivelazione è stata mal interpretata, e allora ha ragione la filosofia;
6.3.2. la filosofia sta ragionando male.
Ora, il filosofo deve tenere presente queste possibilità e porsi il dubbio: «sto ragionando in senso contrario alla Rivelazione, è possibile che la Rivelazione sia stata mal interpretata, ma è anche possibile che io stia filosofando male».
6.4. La Rivelazione mantiene desto l’anelito della filosofia verso le verità decisive, la ammonisce a non piegarsi agli interessi di parte, a non diventare ideologia, serva del potere e dimentica della verità.
6.5. La Rivelazione procede oltre le possibilità della filosofia.
Separazione tra fede e filosofia
Piuttosto, la separazione storicamente avvenuta tra fede e filosofia ha prodotto delle gravi conseguenze. Facciamo solo due esempi tratti da Giovanni Paolo II: «La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale [cfr. il nostro punto 6.4.]. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale [cfr. il punto 4.]. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione» (Fides et ratio, § 48).
Bibliografia
FRANCESCO BOTTURI, La ragione credente e i suoi nemici, in R. Fisichella (a cura di) Fides et ratio: lettera enciclica di Giovanni Paolo II. Testo e commento teologico-pastorale, San Paolo, 1999, pp. 207-202.
ROBERTO DI CEGLIE, Ragione e incarnazione. Indagine filosofica sulla razionalità richiesta dal vangelo, Lateran University Press, 2006, specialmente pp. 154, 221-242.
ANTONIO LIVI, Razionalità della fede nella Rivelazione. Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Leonardo da Vinci, Roma 2005.
GIOVANNI PAOLO II, Fides et Ratio.
JOSEF PIEPER, Per la filosofia, Ares, 1976, pp. 142-161.
GIACOMO SAMEK LODOVICI, L’esistenza di Dio, Quaderni del Timone, Edizioni Art 2004.
Joseph Ratzinger, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, 1960, tr. it. Marcianum Press, 2007.
IDEM, Introduzione al Cristianesimo, 1968, tr. it. Queriniana 1969, 200313 (con un nuovo saggio introduttivo).
IDEM, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, 2003, specialmente pp. 141-221.
IDEM, Discorso di Ratisbona, 12 settembre 2006.
IDEM, Discorso [non pronunciato] all’Università La Sapienza di Roma, 17 gennaio 2008.
1) Atto di fede
Tuttavia, non solo l’atto di ragionamento filosofico, ma anche l’atto di fede, sono due atti attraverso cui la ragione umana fa sua una conoscenza.
Sembra strano che anche l’atto di fede sia un atto della ragione, ma, a ben vedere, è proprio così. Infatti, dire «io credo a ciò che tu mi dici», significa dire «io considero vero ciò che tu mi dici». Ora, è la ragione che considera vera una cosa, un’affermazione, ecc.
Cioè io compio un atto di fede quando la mia ragione, in sinergia con la volontà, considera vera (dà il suo assenso) una cosa, un’affermazione, che qualcuno mi ha detto: un amico, un libro, un giornale, ecc.
Così, c’è un atto della ragione credente e un atto della ragione filosofante.
Compio un atto filosofico quando con la mia ragione acquisisco direttamente una conoscenza senza ricorrere a qualcun altro. Compio invece un atto di fede quando con la mia ragione acquisisco indirettamente una conoscenza (su Dio, ma anche su qualsiasi altra cosa) e la ritengo vera, quando conosco e ritengo vera un’affermazione affidandomi a qualcun altro che la pronuncia.
L’atto filosofico è analogo al vedere da soli, in quanto il vedere è un conoscere con i propri occhi. L’atto di fede è analogo ad ascoltare qualcuno, in quanto l’udire è un conoscere non con i propri occhi, bensì tramite gli occhi di un altro, il quale è considerato: 1) credibile (= sincero); 2) a conoscenza dei fatti che riferisce.
L’atto di fede in Dio è un atto della ragione che ritiene vera l’esistenza di Dio e ritiene vero ciò che Dio dice nella Bibbia.
Ora, la ragione umana, di solito, sopratutto da bambini, ritiene vera l’esistenza di Dio perché crede ad altri (genitori, amici, ecc.) che gli dicono che Dio esiste. Si tratta di un atto della ragione che può poi avere come riscontro una serie di sentimenti (a seconda dei casi) di gioia, pace, timore, slancio, ecc., ma che nella sua essenza non coincide con questi sentimenti.
Ma l’esistenza di Dio può essere conosciuta sia con un atto della ragione credente, sia con un ragionamento della ragione filosofante, cioè mediante le prove filosofiche dell’esistenza di Dio (una trattazione divulgativa in G. Samek Lodovici, L’esistenza di Dio, Quaderni del Timone, Edizioni Art 2004, pp. 15-19). C’è poi il caso speciale e raro di chi riceve una rivelazione particolare da Dio stesso (per es. san Paolo).
Così, c’è chi conosce-crede che Dio esiste e c’è chi invece conosce-con-la-filosofia che Dio esiste. E il filosofo può conoscere mediante la filosofia alcune cose (per esempio l’esistenza di Dio), e conoscerne altre mediante la fede (per esempio la Trinità).
2) Contenuto dell’atto di fede
Ancora, col termine fede a volte si designa l’atto di fede (fides qua creditur), che è ciò di cui abbiamo parlato fino ad ora, a volte il contenuto dell’atto di fede (fides quae creditur), cioè l’insieme delle verità insegnate dalla Rivelazione che vengono appunto credute vere dal credente.
3) Critica del fideismo
Sennonché i fideisti (riprendo adesso, con diverse aggiunte, alcune riflessioni già esposte nel mio già citato Quaderno, pp. 15-19) sono coloro che negano che la filosofia possa recare aiuto alla fede ed affermano che Dio non è dimostrabile con la filosofia.
3.1. Critiche della Bibbia al fideismo
Ora, si può rispondere che anche il fideista cristiano dà il suo assenso alla Bibbia. Ebbene, già la Sacra Scrittura afferma che è possibile arrivare a conoscere Dio grazie ad un ragionamento che parte dal mondo ed arriva a Dio stesso. Vediamo due passi.
Libro della Sapienza (13, 1-9): «davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l’artefice, pur considerandone le opere […]. Difatti dalla grandezza e dalla bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore».
Lettera ai romani (1, 19-21): «ciò che di Dio si può conoscere è loro [agli uomini] manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute».
Insomma, la stessa Sacra Scrittura smentisce la posizione di chi ritiene che si possa conoscere Dio solo con la fede.
E c’è un passo, molto chiaro, nella Prima Lettera di Pietro (3, 15), che esprime non soltanto la possibilità, ma addirittura l’esortazione ai credenti ad intraprendere una ricerca razionale in difesa della fede: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi».
3.2. Critiche del Magistero al fideismo
Se poi i credenti fideisti riconoscono l’autorità del Magistero, si può aggiungere che, proprio ancorandosi alla Sacra Scrittura, la stessa Chiesa si è pronunciata varie volte (anche solennemente) sulla possibilità di giungere razionalmente all’esistenza di Dio.
Per esempio, nella Dei Filius (DS 3004; DS 3026): «la Santa madre Chiesa tiene e insegna che Dio, principio di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale della ragione umana attraverso le cose create». Oppure nella Dei Verbum (n. 6): «Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza col lume naturale dell’umana ragione dalle cose create». E la Fides et ratio, enciclica di Giovanni Paolo II (§ 24, 36 e 53) afferma la «capacità della ragione di innalzarsi al di sopra del contingente per spaziare verso l’infinito». Leggiamo anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 31 e 286): «l’uomo che cerca Dio scopre alcune […] “prove dell’esistenza di Dio”, non nel senso delle prove ricercate nel campo delle scienze naturali, ma nel senso di “argomenti convergenti e convincenti” che permettono di raggiungere vere certezze»; «Indubbiamente […] è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana». Per questo Giovanni Paolo II si rammaricava (Fides et ratio, § 55) dei «pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l'importanza della conoscenza razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per la stessa possibilità di credere in Dio. Un’espressione oggi diffusa di tale tendenza fideistica è il biblicismo, che tende a fare della lettura della Sacra Scrittura e della sua esegesi l'unico punto di riferimento veritativo». Infine, tra i tanti interventi di Benedetto XVI, ne riferiamo uno solo: il «vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale» (Discorso di Ratisbona).
3.3. Critiche filosofiche al fideismo
A questi argomenti si possono aggiungere anche alcune motivazioni di tipo filosofico.
3.3.1. Dio ci ha creati con una ragione capace di filosofare, e la filosofia è la ricerca inesauribile della verità (cfr. il dossier del Timone sulla filosofia, marzo 2008): è mai possibile che non possiamo esercitarla neanche minimamente per conoscere la verità su di Lui che ci ha creato?
3.3.2. L’atto di fede in Dio dev’essere una libera scelta, altrimenti non sarebbe un atto umano, ma solo un automatismo, una costrizione. Ora come può essere libero se non presuppone la ragione? Come possiamo scegliere qualcosa che non cogliamo con la ragione neanche in minima parte? Per accettare Dio con un atto di fede, dobbiamo, almeno in parte, capire con la ragione filosofica di che cosa si tratti.
Obiezione: se Dio è dimostrabile con la filosofia l’uomo non è più libero di aderire/non aderire a Dio.
Risposta: l’uomo resta libero, perché con la sua volontà può decidere di negare il suo assenso a ciò che vede con la ragione, resta libero di non credere persino al cospetto di un miracolo, come fecero i farisei al tempo di Gesù.
3.3.3. Le fedi religiose sono molte e differenti. Dunque per individuare quella vera bisogna disporre di uno strumento (diverso dalla fede stessa) per giudicare ciò che esse affermano: lo strumento per capire se la nostra fede e i sentimenti interiori che proviamo non sono solo un’autosuggestione non può essere che la ragione filosofica.
Ora, è vero che il Dio dei filosofi non è Padre, Figlio e Spirito Santo, non è un Dio con cui si possa intrattenere lo stesso rapporto personale e amoroso che caratterizza la fede religiosa, non è (per citare Pascal) il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Gesù Cristo.
Però, nello stesso tempo, la filosofia può conoscere non solo la sua esistenza, ma anche alcune sue caratteristiche [cfr. Il Timone, 66 (2007), pp. 32-33], come, per esempio, che è Persona, Onnipotente, Eterno, Infinito, Perfetto, Somma Bellezza, Somma Verità, Somma Bontà, Sommo Amore, ecc. Perciò il Dio dei filosofi non è inconciliabile con il Dio della fede cristiana, anzi aiuta a comprenderlo e ad esercitare l’atto di fede.
Infatti, la ragione non elimina la fede, bensì la rafforza e la chiarifica aumentandone la comprensione: dunque la fede e la filosofia non si oppongono, bensì realizzano una solidarietà reciproca ed una cooperazione benefica, che reca vantaggio ad entrambe.
4) Primo contributo della filosofia alla fede
Abbiamo ricordato un mese fa l’esortazione della Lettera di Pietro a «rendere ragione», cioè a dimostrare ed a difendere, per quanto possibile, la fede. Ebbene, le prove filosofiche dell’esistenza di Dio possono essere proposte anche a colui che non condivide la fede nella Rivelazione, sollecitando in lui l’esercizio di ciò che, invece, ogni uomo possiede, cioè, appunto, la ragione capace di filosofare.
Così, siccome ogni credente ha il dovere, per quanto possibile, di portare la fede in tutto il mondo («andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura», Mc, 16, 15-16), dimostrare filosoficamente l’esistenza di Dio ed alcuni aspetti della sua natura è importantissimo, perché la fede è un dono individuale (anche se bisogna che ognuno cooperi per riceverla e coltivarla), mentre la ragione filosofica è una dotazione comune a tutti gli uomini: attraverso la filosofia, pertanto, chiunque, anche se non avesse ricevuto il dono della fede, può pervenire all’affermazione dell’esistenza di Dio.
S. Paolo, all’Areòpago di Atene, spiega appunto che il Dio cristiano è conciliabile con quello della filosofia stoica (Atti, 17, 22-34). È vero che molti ateniesi si scandalizzano e lo mandano via, ma non per il ragionamento che fa, bensì quando menziona un aspetto della Rivelazione cristiana che è indimostrabile per la filosofia, cioè la resurrezione (soprattutto la resurrezione della carne): un concetto (per vari motivi) inconcepibile per i Greci; d’altra parte, dopo questo suo ragionamento alcuni si convertono: «alcuni aderirono a lui e divennero credenti, fra questi anche Dionigi membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro» (ibidem).
Edith Stein, che arrivò alla conversione anche attraverso una formazione filosofica, dice: «il compito più elevato di una filosofia cristiana è quello di preparare la strada che porta alla fede: appunto per questo stette a cuore a san Tommaso di edificare una filosofia pura sui fondamenti della ragione naturale; solo così si può percorrere un tratto di strada insieme ai non credenti».
Insomma, gli uomini diventano cristiani:
1. a volte perché ricevono la fede da qualcuno che essi amano;
2. a volte perché vengono convinti da dei ragionamenti;
3. a volte per tutti e due questi motivi insieme;
4. a volte per una Rivelazione diretta di Dio
Per esempio, S. Agostino si è convertito anche grazie alla lettura dei libri dei neoplatonici; abbiamo già detto di Edith Stein; Janne Haaland Matlary (autrice del libro Una scelta d’amore, Leonardo Mondadori Editore, 2004, prefazione di J. Ratzinger), già Viceministro degli Esteri della Norvegia ed ex agnostica (in certi momenti atea), si è convertita grazie alla filosofia: «Si è trattato di una conversione intellettuale. Durante i miei studi di filosofia mi stavo dedicando all'indagine sulla realtà oggettiva e mi sono imbattuta in Aristotele e San Tommaso d'Aquino. Nel momento in cui ho scoperto il realismo ontologico, ho pure trovato la Chiesa. La fede, naturalmente, è molto più di una semplice posizione filosofica, ma posso dire che senza una presa di posizione simile essa non ha granché senso» (www.magdiallam.it/node/6383); Magdi Allam ha raccontato varie volte che il discorso fatto da Benedetto XVI a Ratisbona sul contributo della filosofia alla fede, nonché la corrispondenza tra Rivelazione e ragione (filosofica), sono stati fondamentali nella sua conversione al cristianesimo.
Io stesso conosco delle persone che sono diventate cristiane attraverso la filosofia (due di esse attraverso il già citato G. Samek Lodovici, L’esistenza di Dio).
Del resto, Gesù convertiva le persone amandole e facendo miracoli, ma anche facendo ragionamenti, sia pur semplici (o anche difficili, come nel vangelo di Giovanni).
E, anche per quanto riguarda i miracoli, la gente credeva a Gesù dopo che egli aveva fatto un miracolo, attraverso la mediazione di un ragionamento (talmente spontaneo da non rendersi conto di farlo): quello che applica il principio di causalità al miracolo e risale dall’effetto (il miracolo) alla causa (Dio). Il ragionamento è il seguente: questo è un miracolo; per compiere miracoli bisogna essere Dio (o essere strumento attraverso cui Dio agisce); dunque Gesù è Dio.
5) Secondo contributo della filosofia alla fede
Inoltre, la ricerca filosofica può portare soccorso anche a chi è già credente, giacché anche i più grandi santi (per esempio s. Giovanni della Croce e Madre Teresa di Calcutta) hanno vissuto periodi di aridità spirituale interiore e di incertezza. In simili momenti, la filosofia può sostenere la fede e corroborarla, può contribuire a superare i dubbi, a vincere le incertezze, a perseverare, ecc.
In generale, è vero che è la mozione dello Spirito che porta all'atto di fede; ma questa mozione presuppone che si compia un atto della ragione, che giudica che il contenuto del messaggio cristiano è vero. Altrimenti non potremmo credere, perché nessuno vuole fondare la sua vita sull’errore. È un atto spesso spontaneo, che non ci rendiamo conto di compiere.
E, precisamente a proposito del valore della filosofia, così si esprime Giovanni Paolo II: «La filosofia contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della vita e ad abbozzarne la risposta: essa pertanto, si configura come uno dei compiti più nobili dell’umanità» (Fides et ratio, § 3).
Dunque, considerati questi due contributi della filosofia alla fede, è molto importante accedere a Dio con la filosofia. Sarebbe insensato rinunciare a farlo solo perché la conoscenza di Dio che si guadagna è inferiore a quella che si ottiene dalla Rivelazione: sarebbe come rinunciare ad un tesoro solo perché è meno prezioso di un altro.
6) Contributi della fede alla filosofia
Vediamo adesso gli apporti della fede alla ricerca filosofica.
6.1. La Rivelazione valorizza la ragione: dunque, nella nostra epoca, l’indebolimento della fede determina l’indebolimento della ragione, perciò oggigiorno dominano il pensiero debole ed il relativismo, cioè domina la sfiducia nella ragione. La Rivelazione valorizza la ragione:
6.1.1. perché dice che Dio è Ragione-Logos (e Amore), dunque la nostra ragione è un aspetto dell’immagine di Dio in noi;
6.1.2. perché dice che la ragione (come tutte le cose) è creata da Dio, dunque è buona;
6.1.3. perché dice che abbiamo il dovere di far fruttificare tutti i doni che abbiamo ricevuto (cfr. la parabola dei talenti).
Anche i Greci hanno valorizzato la ragione, ma solo tra i colti; inoltre nessuno di loro ha fornito la motivazione 6.1.2., le altre due motivazioni sono state da essi sviluppate di meno (per es. la 6.1.1. da Aristotele).
6.2. La Rivelazione anticipa dei temi che la filosofia può conseguire da sola (temi come, per es., la creazione e la gratuità dell’amore).
6.3. La Rivelazione è una bussola che consente alla filosofia di orientarsi, quando la filosofia ha sbagliato o corre il rischio di sbagliare. Infatti, quando la filosofia dice qualcosa che va in contrasto con la Rivelazione, ci sono due possibilità:
6.3.1. la Rivelazione è stata mal interpretata, e allora ha ragione la filosofia;
6.3.2. la filosofia sta ragionando male.
Ora, il filosofo deve tenere presente queste possibilità e porsi il dubbio: «sto ragionando in senso contrario alla Rivelazione, è possibile che la Rivelazione sia stata mal interpretata, ma è anche possibile che io stia filosofando male».
6.4. La Rivelazione mantiene desto l’anelito della filosofia verso le verità decisive, la ammonisce a non piegarsi agli interessi di parte, a non diventare ideologia, serva del potere e dimentica della verità.
6.5. La Rivelazione procede oltre le possibilità della filosofia.
Separazione tra fede e filosofia
Piuttosto, la separazione storicamente avvenuta tra fede e filosofia ha prodotto delle gravi conseguenze. Facciamo solo due esempi tratti da Giovanni Paolo II: «La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale [cfr. il nostro punto 6.4.]. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale [cfr. il punto 4.]. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione» (Fides et ratio, § 48).
Bibliografia
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GIOVANNI PAOLO II, Fides et Ratio.
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GIACOMO SAMEK LODOVICI, L’esistenza di Dio, Quaderni del Timone, Edizioni Art 2004.
Joseph Ratzinger, Il Dio della fede e il Dio dei filosofi, 1960, tr. it. Marcianum Press, 2007.
IDEM, Introduzione al Cristianesimo, 1968, tr. it. Queriniana 1969, 200313 (con un nuovo saggio introduttivo).
IDEM, Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, 2003, specialmente pp. 141-221.
IDEM, Discorso di Ratisbona, 12 settembre 2006.
IDEM, Discorso [non pronunciato] all’Università La Sapienza di Roma, 17 gennaio 2008.
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