
Dalla nascita degli Stati Uniti d'America la presenza dei cattolici in questo paese non è mai stata così rilevante. Questa affermazione non viene tanto dagli echi positivi della visita di papa Francesco, quanto dai dati offerti da un articolo di Limes, che evidenzia una crescita costante di cattolici nelle istituzioni americane. Il dato più eclatante è quello della Corte suprema, dove sei giudici su nove sono cattolici.
E in generale, lo è la metà dei membri dell'amministrazione Usa. Sono cattolici anche il vice-presidente, il chief of staff della Casa Bianca, entrambi i presidenti della Camera dei rappresentanti, il leader democratico della Camera, il direttore della Cia, il direttore e il vicedirettore dell’Fbi, entrambi i capi di Stato maggiore nominati da Obama, il comandante dei marines, il capo di Stato maggiore dell’Aviazione e l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale. Inoltre, sono cattolici il 31% dei membri del Congresso e il 38% dei governatori.
Che questa appartenenza si traduca in condizionamenti concreti della politica Usa non è affatto scontato, ma il dato è inequivocabile e rappresenta un elemento nuovo nella altalenante relazione tra la più antica istituzione del mondo e la nazione più potente. Che nacque con l'impronta puritana, quindi anticattolica. In quest'ottica viene interpretato ad esempio il Primo emendamento della costituzione (1791), che vieta ogni tipo di commistione tra politica e religione. Già un secolo prima una legge in Virginia (1642) bandiva i cattolici dalle cariche pubbliche, ne vietava il culto e perseguitava i loro sacerdoti.
Attualmente, i cattolici rappresentano il 25-30% della popolazione Usa, e gestiscono più di 5.600 scuole elementari, 1.200 scuole medie e superiori e 244 università e college, per un totale di circa 3,5 milioni di studenti e più di 200 mila insegnanti e professori. Nel sistema sanitario, fanno capo alla Chiesa oltre 600 ospedali, per non parlare delle case di cura, case di riposo, pensionati e molte altre istituzioni caritative. La Chiesa è quindi a tutti gli effetti la seconda rete di protezione sociale del paese dopo lo Stato federale.
Allo stesso tempo, si nota negli Usa un progressivo declino della componente Wasp (White Anglo-Saxon Protestant) che per secoli ha guidato la politica e la cultura americana. Divisi in oltre 30 mila chiese di tutte le dimensioni, spesso in contraddizione e in conflitto tra loro, i protestanti stentano ad imporsi in maniera unitaria in campo sociale.
Le difficoltà non mancano neanche ai cattolici, in un contesto culturale secolarizzato e in un clima condizionato dagli scandali degli anni scorsi, ma alcuni dati fanno pensare ad un rafforzamento dal di dentro: i praticanti sono meno che nel passato, ma più motivati e consapevoli. Lo dimostra il boom dei diaconi permanenti, che negli anni caldi dello scandalo pedofilia (1995-2005) sono aumentati del 50%. Si calcola che i due terzi dei diaconi permanenti nel mondo siano statunitensi.
I sacerdoti Usa sono invece 45 mila (soltanto l'Italia ne ha di più), cioè il 12,5% dei sacerdoti nel mondo, e il rapporto tra clero e laici è inferiore a quello dell'Europa ma superiore a quello degli altri continenti.
Gli osservatori del mondo statunitense notano un curioso paradosso: tanto più la Chiesa critica il consumismo, l’American way of life, la pena di morte, la legislazione antimmigrazione, l’aborto, il «relativismo etico» e la guerra in Iraq, tanto più è popolare e corteggiata negli Stati Uniti. È possibile che in un momento di crisi economica e forse anche di identità, gli americani cerchino più o meno consapevolmente l'appoggio ad un forte riferimento morale.
Sicuramente la considerazione del cattolicesimo da parte degli americani sta evolvendo nel tempo. Nel 1978, ai funerali di Paolo VI, la rappresentante ufficiale degli Stati Uniti fu la madre del presidente Carter. Nel 2005, ai funerali di Giovanni Paolo II parteciparono il presidente George W. Bush, i suoi due immediati predecessori, Bill Clinton e George H.W. Bush, e il segretario di Stato Condoleezza Rice.
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