Aquarius: l’Italia può chiudere i porti alle navi delle ong?

di Raffaele Buscemi, 11 giugno 2018

La nave Aquarius della ong Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere è bloccata a 35 miglia dalle coste italiane e a 27 miglia da Malta con 629 persone a bordo dal 10 giugno, quando il governo italiano ha rifiutato di assegnare un porto di sbarco alla nave umanitaria che batte bandiera di Gibilterra. I migranti, tra cui 123 minori non accompagnati, undici bambini e sette donne incinte erano stati soccorsi in diverse operazioni al largo della Libia con il coordinamento dalla Centrale operativa della guardia costiera di Roma (Mrcc).

In una nota ufficiale diramata la sera dello stesso giorno, il ministro dell’interno Matteo Salvini e il ministro dei trasporti e delle infrastrutture Danilo Toninelli hanno spiegato che la capitaneria di porto italiana ha chiesto a Malta di far attraccare alla Valletta la nave Aquarius, aprendo un contenzioso diplomatico con le autorità maltesi che rifiutano di assegnare un porto di sbarco.

Salvini può chiudere i porti? Quali violazioni commetterebbe? E perché Malta non accetta mai di far sbarcare i migranti? Abbiamo provato a rispondere a tutte queste domande mettendo da parte slogan politici e prendendo in mano il diritto internazione cercando di spiegare tutte le posizioni delle parti coinvolte in questo scenario. 

Salvini può chiudere i porti?

Il testo più citato da chi sostiene questa corrente di pensiero è l’articolo 19 della Convenzione ONU sul diritto del mare del 1982 (PDF). Stabilisce che il passaggio di una nave nelle acque di un altro stato è consentito finché «non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero». Al comma 2g, che elenca le attività che possono essere considerate offensive, c’è anche lo «scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero». Secondo questa linea di pensiero, le navi delle ong consentono che gruppi di persone entrino illegalmente in Italia, e quindi possano essere fermate.

Da un'altra prospettiva la chiusura dei porti a navi umanitarie è in contrasto con alcune norme del diritto internazionale secondo cui le persone soccorse in mare devono essere trasportate nel porto sicuro più vicino alla zona del salvataggio. “Se è vero, insomma, che un obbligo di autorizzare l’ingresso nel porto alle suddette imbarcazioni non pare direttamente deducibile, per l’Italia, dalle convenzioni Sar e Solas, è pur vero che la chiusura dei porti italiani implicherebbe necessariamente una serie di conseguenze sul piano del rispetto di norme internazionali sui diritti umani e sulla protezione dei rifugiati”, scrivono Francesca De Vittor e Pasquale De Sena dell’università Cattolica di Milano.

L’articolo 10 del Testo Unico sull’immigrazione del 1998 parla dei respingimenti, cioè la pratica di allontanare uno o più migranti che secondo lo stato non sono nella condizione di poter essere accolti. Il Testo specifica chiaramente che il respingimento non può avvenire «nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari». La legge italiana, in sostanza, vieta di respingere persone che chiedono di ottenere una forma di protezione internazionale. Dato che tutti i migranti che arrivano in Italia hanno diritto di fare richiesta di protezione, sarebbe difficile trovare una base legale per respingerli ancora prima che ne abbiano avuto la possibilità.

I respingimenti di richiedenti asilo sono anche esplicitamente vietati dall’articolo 33 della convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra nel 1951, e dal protocollo 4 che integra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, entrato in vigore nel 1968.

L’Italia in passato è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per avere compiuto respingimenti illegali di massa sui passeggeri di alcuni barconi di migranti, all’epoca dei governi Berlusconi. Una nuova decisione in questo senso – che dovrebbe essere presa sia da Salvini sia dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli – significherebbe probabilmente l’apertura di nuovi procedimenti da parte della Corte, e il peggioramento dei rapporti con gli alleati europei e occidentali.

Perché Malta non fa sbarcare i migranti?

Malta non ha mai sottoscritto alcune modifiche della convenzione di Amburgo del 1979 e della convenzione Solas introdotte nel 2004. Queste norme prevedono che lo sbarco avvenga nel paese che ha coordinato i soccorsi, e da sempre in quel tratto di mare i soccorsi sono stati coordinati dall’Italia. Quindi, in base diritto internazionale e alla prassi i soccorsi coordinati dall’Italia hanno sempre indicato un porto di sbarco italiano”.

La questione è delicata, perché Malta ha dichiarato unilateralmente la sua zona di ricerca e soccorso (Sar), un’area molto ampia che però non è riconosciuta dalle autorità marittime internazionali. “Non avendo però sottoscritto quegli articoli del 2004, Malta rifiuta di fornire lo sbarco in un porto sicuro anche se il soccorso è avvenuto nella sua zona Sar”. In più Malta è il paese dell'Unione Europea che ospita più rifugiati in rapporto alla popolazione.: sono 18,3 ogni mille abitanti. L'Italia ne ospita 2,4 ogni mille abitanti.

Perché l’Italia è l’unico stato a intervenire nel Mediterraneo?

Come ricostruito dalla Guida sui soccorsi in mare stilata dalla Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili (Cild), tutti gli stati costieri del Mediterraneo sono tenuti, alla luce della convenzione di Amburgo, a mantenere un servizio di ricerca e soccorso e devono coordinarsi tra di loro. Nel corso della conferenza Imo (International maritime organization) di Valencia del 1997, il mar Mediterraneo è stato suddiviso in diverse zone di ricerca. L’area di responsabilità italiana rappresenta circa un quinto dell’intero Mediterraneo, ovvero 500mila chilometri quadrati.

Tuttavia il governo maltese, anch’esso responsabile di una zona vastissima, si è avvalso finora della cooperazione dell’Italia per il pattugliamento della sua zona di responsabilità: nella prassi il Centro di coordinamento regionale Sar maltese non risponde alle imbarcazioni che la contattano, né interviene quando interpellato dal Centro di coordinamento regionale della Sar italiana. La mancata risposta dell’autorità maltese, tuttavia, non esonera dall’intervento di soccorso la singola imbarcazione che ha avvistato il natante in panne.

Di fatto, a seguito della mancata risposta (o risposta negativa) della Sar maltese, la singola imbarcazione chiederà l’intervento della Sar italiana che coordinerà l’intervento.

Se ti è piaciuto l'articolo condividilo su Facebook e Twitter, sostieni Documentazione.info